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29 aprile 2015

CASTITA' DELLA SERVA / una lettera di FrauJulia

Gentilissima Madame Janine,

sicuramente la sguattera sudiciona, sigillata nelle sue doppie mutande, è impossibilitata a cercare i piaceri indebiti a cui era avvezza, infatti uno stato di spessa gomma, doppiato da una robusta mutanda di cuoio impedisce qualsiasi suo tentativo. Ma, anche rifacendomi ai deliziosi disegni della schiava Elizabeth, non vorrei che la sguattera abbia trovato un escamotage per ottenere comunque turpi orgasmi, massaggiandosi i capezzoli che, almeno nei disegni, sono tenuti liberi.. Ora, sappiamo benissimo che gli orgasmi ottenuti in questo modo sono spesso un mito, ciò nonostante potrebbe essere utile disciplinare anche questa zona. Mi trovo però in difficoltà a suggerire un metodo valido, l’idea che mi viene è quella di un apposito reggiseno contenitivo-punitivo, imbottito con il materiale delle spugnette ruvide. In alternativa al reggiseno si potrebbe usare una larga striscia contenitivo-compressiva che mantenga dolorosamente le cose al loro posto, anche durante lavori che richiedano di sporgersi in avanti oppure durante le corse punitive. Tale striscia sarebbe anche giustificata dal fatto che, data l’età non proprio verde della sudiciona, le zinne cominciano ad afflosciarsi ed a pendere sempre più in basso, quindi perché non nasconderle completamente?  Un alternativa più semplice potrebbe essere di limitarsi a foderare l’interno delle divise e dei grembiuli spugnette abrasive, cucite nei punti opportuni. A questo punto sfido la sudiciona a massaggiarsi, tenuto conto che le impudiche mammelle saranno già tenute opportunamente irritate dai continui sfregamenti contro le terribili spugnette.


Madame, indirizzo a Lei la missiva per competenza, ma, se Lei è d'accordo, si potrebbe ordinare alla sudiciona di pubblicarla. Credo che l'argomento possa interessare le attente lettrici.
Sua FrauJulia

25 aprile 2015

LANCY 17 - LA PETOMANE


LANCY 17 – LA PETOMANE
di sguattera sudiciona
La Dottoressa ha deciso di sottoporre la promettente vacca 14 a nuovi esperimenti. Tale decisione deriva anche dalla segnalazione di una delle Infermiere Mungitrici, relativa alla abbondante emissione di peti della vacca 14. Ora, dato il regime a cui sono sottoposte, non è affatto insolito che le vacche emettano potenti scorregge, ma la vacca 14 ha trovato il modo di farsi notare anche stavolta.
Benissimo, si dice la Dottoressa, questa è una buona occasione per allenare la vacca 14 a trattenere il più possibile i gas intestinali.
Una breve telefonata ordina di portare la vacca 14 in ambulatorio. La sudiciona non si aspettava affatto di essere portata nuovamente in ambulatorio e, quando capisce dove si trova delle lacrime di paura scorrono lungo le guance. Lacrime che indispongono alquanto la Dottoressa. “stupida vacca, io ti onoro delle mie cure e tu piangi senza motivo”, grida schiaffeggiando ripetutamente guance e mammelle della sudiciona.
La dottoressa ha ideato un altro doloroso esperimento a cui sottoporre la sudiciona. Innanzitutto la vacca 14 viene denudata e fatta “accomodare” su di una bicicletta da camera, posta nell’ ambulatorio. Le mani della sudiciona trovano posto in “guanti di contenzione” fissati al manubrio, i piedi sono fissati ai pedali. La sella è simile a quella per prevenire problematiche alla prostata dei maschietti: una specie di “V” che non preme sulle parti intime ma che, in questa applicazione permette libero accesso agli sfinteri della “vacca ciclista”. La dottoressa, ora, si arma di una spugnetta estremamente abrasiva e “tratta” capezzoli, ventre, ed interno cosce della sudiciona. Qui vengono incollati grossi elettrodi che sono poi collegati ai cavi di una sofisticata centralina. La Dottoressa ordina alla sudiciona di iniziare a pedalare. Lo sforzo richiesto, sia pur non enorme, è abbastanza notevole. La Dottoressa istruisce la vacca 14 su di una specie di “semaforo” a led. La pedalata dovrà tenere acceso il led verde posto al centro. La sudiciona potrà far accendere impunemente il led giallo di velocità eccessiva, ma ad ogni accensione del led rosso di bassa velocità si avvierà un generatore di dolorose scosse. La sudiciona, che pedalava svogliatamente, ha subito un assaggio che la fa torcere e le strappa un grido di dolore. Ma la dottoressa ha in serbo altro per la sudiciona: preleva una grossa “pera” di gomma da un carrello. La dottoressa preme la pera, sorridendo soddisfatta al rumore dell’aria che esce e rientra dal cannello. Cannello che, in men che non si dica finisce tra le natiche della sudiciona. Ora la Dottoressa preme gradualmente la pera, immettendone l’aria nell’intestino della sudiciona. Ma una sola pera non basta, la Dottoressa ne spremerà ben tre nella pancia della vacca 14. La sudiciona sente l’intestino dolorosamente pieno di aria. La Dottoressa estrae la pera, la sudiciona stringe spasmodicamente lo sfintere, sforzandosi di continuare a pedalare alla velocità prescritta. Un gorgoglio segnala che l’aria si è distribuita un po’ meglio e la sudiciona sente scomparire il dolore. Sollevata si concentra sulla pedalata. Dea un po’ ha iniziato a sudare. Ma la Dottoressa non è soddisfatta, una seconda pera di aria strappa un mugolio alla sudiciona, che rallenta visibilmente la pedalata. Ahhhh è la reazione alla inevitabile scossa. La sudiciona, per paura delle scosse, accelera nuovamente, ma la Dottoressa le scarica una terza pera di aria. La pancia ora duole moltissimo. La sudiciona, però, con le mani bloccate non può neanche massaggiarsela. Un nuovo gorgoglio segnala che il gas si è trovato una strada nei meandri della pancia della ciclista. Ma ora la Dottoressa avverte la sudiciona che sta per indurire la pedalata. La sudiciona si sforza disperatamente, si sente il cuore in gola. Ma gli sforzi per pedalare stanno causando un altro problema, i movimenti peristaltici, uniti alla pressione dei muscoli, tesi per assecondare lo sforzo delle gambe, hanno spostato una parte del gas fino all’ano della sudiciona. La sudiciona ha ora un urgente bisogno di scoreggiare. Bisogno che si ingigantisce ad ogni pedalata. La pedalata della sudiciona, tormentata dal mal di pancia si fa irregolare. Sulla faccia si legge tutta la fatica ed il dolore. Concentrata come è sui propri problemi, la sudiciona non sente neanche l’incoraggiamento della Dottoressa che la dice che manca solo mezz’ora alla fine della prova. La sudiciona prova a rilasciare un poco alla volta lo sfintere, se le andrà bene riuscirà ad liberarsi almeno di una parte del gas senza che la Dottoressa se ne accorga. Ma purtroppo per la sudiciona “il cul fece trombetta”, nel silenzio l’osceno rumore risalta ancora di più, facendo infuriare la Dottoressa.
La sudiciona viene fatta scendere dal sellino le viene ordinato di restare in piedi, una impietosa speciale sonda di gomma rossa, fornita di fori per fare uscire i gas le viene profondamente inserita nell’intestino e la mano della dottoressa preme di piatto sul ventre svuotandolo dolorosamente.
Ma la Dottoressa vuole, in qualche modo, castigare la Mucca 14 per l’irriverenza. Scrive su di una delle sue ricette: Sottoporre la mucca 14 a clistere di 2 litri di latte e melassa. Applicare plug numero 4. Ritenzione 20 minuti. Se vi fossero coliche gassose ripetere il clistere una o due volte. Ora, dovete sapere che il latte e melassa, era una antica formula curativo-punitiva utilizzata nel periodo vittoriano, appunto per le serve scorreggione. L’effetto non solo è fortemente purgativo ma, appunto, genera moltissimi gas intestinali
La sudiciona viene rimandata, accompagnata dalla ricetta punitiva alla stalla. Qui giunta viene presa in carico da una infermiera mungitrice che si incarica di farle passare una serata indimenticabile. Alla mucca 14 viene applicata una specie di gogna che blocca assieme polsi e caviglie, in pratica è “incaprettata”. Senza fretta l’infermiera avvicina una piantana su di cui fa bella mostra un antico irrigatore di vetro, un pezzo da museo. L’irrigatore è pieno di una mistura del colore di un cappuccino: latte con melassa nera, la più potente. Al termine della gomma troviamo una sonda, sempre vintage, di ebanite nera. La forma è piriforme, facile ma dolorosa da infilare, poi tappa abbastanza bene ed è difficile da espellere involontariamente. L’infermiera infila senza troppi complimenti la cannula alla sudiciona e al lamento che segue all’operazione commenta “vacca 14, stasera avrai modo di abituarti ben benino a questo cannello!”.
La sudiciona ora è tutta concentrata, cosa le riserverà questo clistere, stranamente poco abbondante? E cosa è quel liquido dallo strano colore?
Lo scoprirà ben presto, infatti la Mungitrice apre del tutto la chiavetta. Un fiotto di liquido caldissimo fa sussultare la sudiciona. Il liquido entra senza dare poi quel gran fastidio. La sudiciona è contenta, credeva molto peggio. Ma ha fatto i conti senza l’oste, ancora prima che il liquido finisca dal suo pancione iniziano a sentirsi imbarazzanti gorgoglii. E a cannula chiusa, ma col cannello ben inserito a fare da tappo, i gorgoglii continuano, ora la sudiciona sente l’intestino che si gonfia e rilascia fastidiosamente. Insomma il latte e melassa sta facendo effetto. Il viso della sudiciona ora mostra chiaramente che il fastidio sta trasformandosi in dolore, non un dolore localizzato ma un dolore che è dappertutto, si muove in sincronia con le bolle di gas che smuovono il liquido purgativo causando l’emissione di ulteriore gas. In pratica è una reazione a catena. Dolorosamente, mosso da potenti movimenti peristaltici, il gas si fa strada …. verso l’uscita. Uscita che però è sbarrata dal plug. Non so se la sudiciona debba ringraziare l’Infermiera di madame Janine per averle risparmiato lo sfintere o dolersi di questo fatto. Alla fine l’inevitabile accade, un geyser spara all’esterno la cannula, seguita da liquidi e gas innominabili. La Mungitrice, evidentemente avvezza a questo tipo di castighi,. sculaccia fortemente la sudiciona e infila nuovamente un plug di misura superiore, infatti vi sono ben quattro misure di plug . “Questo ti costerà la ripetizione di questo clistere dall’inizio”, sono le sue parole ad una sudiciona ormai sconvolta dal mal di ventre.
E la ripetizione del clistere avviene puntualmente non appena la sudiciona ha dolorosamente e rumorosamente smaltito il precedente.
La mucca 14 capisce che stavolta sarà anche peggio: le duole ancora la pancia per i maltrattamenti precedenti e l’Infermiera Mungitrice è già lì con l’enteroclisma pieno fino all’orlo di caldissimo liquido sconvolgente. Ed a giudicare dal colore, la dose di melassa nera è stata pure aumentata. La sudiciona, da brava vacca, cerca di commuovere la mungitrice, ma questa mossa a Lancy non può funzionare, anzi, frutta alla sudiciona alcuni colpi di scudiscio.
E presto la sudiciona si torce nell’accogliere nelle budella il plug attraverso cui la irrigano col terribile latte purgativo. I brontolii ed i dolori sono ancora più forti di prima ma, per fortuna della sudiciona, il suo intestino si è ben vuotato con il clistere precedente. Per cui, sia pure con una mongolfiera al posto della pancia, la sudiciona stavolta non “spara” via il plug. Il tempo di attesa pare eterno, ma finalmente la Mungitrice apre la gogna che teneva incaprettata la sudiciona. Ma il tormento non è finito, la sudiciona sempre tappata deve eseguire la marcia punitiva fino alla stalla. Vi giunge stravolta dai dolori e dalla nausea. Qui giunte, finalmente la mungitrice le dà una pacca sul sedere e le permette di “spingere”. Potete immaginare quale sia l’effetto, visto la quantità di gas che deforma grottescamente il ventre della mucca 14.
Vostra stupida vacca sudiciona.
(17- continua)

DIARIO DI UN'EDUCAZIONE 8


Diario di una educazione – 8
Nell’educazione della nostra serva trovano posto anche metodi disciplinari più tradizionali, metodi che la Oberschwester utilizzava quotidianamente sulle atlete, metodi che non lasciano segni visibili e non usano debilitanti purganti o clisteri. Vincendo la vergogna la serva racconta le proprie punizioni alle amiche.
La serva, come al solito, ha pulito male il pavimento. Inutile la scusa di avere fretta di finire il lavoro. La Oberschwester le impone un castigo dal nome intraducibile in italiano, lo chiameremo “il castigo della lastra”. La serva viene fatta denudare completamente e fatta stendere prona. Il pavimento è freddissimo e la serva si ingegna, inarcandosi e puntellandosi sui gomiti e sulle ginocchia, per non appoggiare pancia e mammelle. Passano un paio di minuti, da dietro, una inesorabile spinta, data dalla pianta del piede della Oberschwester, obbliga a poggiare le parti delicate, la serva ha un sussulto, il freddo le toglie il respiro. Ora alla serva viene ordinato di mettersi con le mani dietro alla nuca, gomiti ben sollevati da terra. In questa posizione le punte dei piedi, le ginocchia, la pancia e le mammelle sostengono tutto il peso, appoggiando sulle fredde lastre del pavimento. La Oberchwester ha anche aperto la finestra, in modo che la fredda ed umida aria di un giorno di pioggia aumenti il freddo trasmesso dal pavimento alle nude carni della serva. Alla serva viene subito la pelle d’oca, ed il pavimento pare risucchiarle tutto il calore dal corpo all’infinito. Ben presto la posizione forzatamente immobile diventa un tormento. In particolare la serva sente il peso gravare su pancia e tette che le paiono pezzi di ghiaccio. I capezzoli, induriti dal gelo, le dolgono ad ogni respiro. La voglia di muoversi e massaggiarsi diventa ogni minuto più irresistibile, ma la serva, che sente dietro di sé la presenza e lo sguardo della sorvegliante, non osa muoversi. Un inarrestabile tremito la percorre, manca solo di sentirle battere i denti. Di lì ad una interminabile mezz’ora la Oberschwester si allontana un attimo, forse per un bisogno fisiologico. Come sente i passi allontanarsi la serva di mette in ginocchio ed inizia a grattarsi e frizionarsi furiosamente. Ed è proprio nell’atto di grattarsi la patata che la serva viene colta dalla Oberschwester. “Peccato, stavo per dichiarare conclusa la tua punizione” dice la Oberschwester, “ora farò in modo che tu ti ricordi a lungo di questa tua bravata”. La serva deve bere una intera caraffa di acqua fredda e viene rimessa prona, su di una lastra diversa del pavimento, in modo che sia ancora ben fredda. Le mani sempre dietro la nuca. Passa un'altra mezz’ora. La serva ormai trema e batte i denti di continuo. Ma il freddo che prova, e l’acqua ingurgitata le hanno ben riempito la vescica. La serva stringe inconsapevolmente le cosce. La Oberschwester, che la osserva attentamente, la fa mettere un attimo supina. Mani esperte palpano e premono dolorosamente in corrispondenza della vescica ormai gonfia e distesa. La serva è piena al punto giusto. La Oberschwester si allontana un attimo e torna con una boule gonfia di acqua, fredda di frigorifero, saranno cinque o sei gradi. La serva deve rimettersi prona, la boule piena di acqua gelata posta sotto la pancia. Ora la punita appoggia sulle tette e sulla boule e la pressione si trasmette alla vescica. La sensazione di gelo si combina con la voglia irresistibile di orinare. La serva squittisce e stringe spasmodicamente le cosce. Osa chiedere pietà ma sente la Oberschwester: “devi resistere fino a quando ti darò il permesso, se ti pisci addosso dovrai pulire tutto il pavimento con la lingua”. Ma è destino che la povera serva non riesca a farcela, di lì a cinque minuti di sofferenza il freddo la vince sulla sua poca forza di volontà ed una calda pozzanghera si allarga sul pavimento. La Oberschwester invita ora la serva a “farla tutta”, tanto dovrà lappare tutto il pavimento. E dover leccare tutta la propria piscia ormai gelata, sentendone in continuo lo stomachevole sapore, sarà il nauseante coronamento della “punizione della lastra”.
In una altra occasione la serva è stata sottoposta al “castigo della spazzola”.
E’ stata messa a cavallo di uno sgabello basso, le cosce aperte e le ginocchia ad angolo retto,
modo che sostengano tutto il peso del corpo. Le mani dietro la nuca. L’altezza dello sgabello, con l’aiuto di alcuni libri, è regolata, in modo che la fica della serva sfiori appena le setole di una spazzola, di quelle di una volta di rigido e pungente crine, appoggiata sul piano. La serva, nuda, deve restare “in posizione”, di fronte alla Oberschwester. Di lì a poco iniziano i dolori alle cosce ed alla schiena. “Ferma, devi stare ferma!” è l’ordine che viene continuamente ripetuto. I muscoli delle cosce iniziano a bruciare, le gambe tremano per lo sforzo di sostenere il peso in quella posizione impossibile. La serva ha il viso arrossato, gocce di sudore ruscellano dalle ascelle, ma bisogna restare immobile. Quando le gambe cedono la fica si "siede" sulla spazzola con tutto il peso del corpo...
La serva stimolata dal dolore ha uno scatto e si risolleva, “Ferma, stai ferma!” ripete la Oberschwester, e ben presto alla serva mancano le forze e si appoggia nuovamente, rilasciando finalmente la tensione nei muscoli doloranti. I crini della spazzola segnano a fondo le tenere e delicate carni, senza del resto riuscire a bucarle o fare danni. La serva tiene gli occhi chiusi e si morde le labbra, concentrata nel non muoversi e non urlare.
Passa un terribile quarto d’ora, prima dell’ordine , “ora puoi rialzarti”. Madame ed Oberschwester verificano lo stato della parte punita, commentando lo “stampo” violaceo, lasciato dalle setole. Ed alla serva verrà vietato assolutamente, una volta rialzata di “massaggiare” la “parte offesa”.
(8- continua)

CENTRO DE DETENCION MADAME ROCIO 2 - LE DIVISE DELLE FORZATE


Nobili Signore,
serva sudiciona,
continuo nel racconto della mia detenzione.

Madame Rocio
Un ora prima dell’alba le detenute vengono svegliate da un rumoroso campanello elettrico. Poiché siamo in un deserto l’aria è fredda, grande contrasto con la fornace del giorno. Il dormitorio si ridesta, tra lamenti e grugniti. E’tutto un affannarsi per ripiegare le luride lenzuola nel modo prescritto per i soldati dell’”armada”. Qui non si scherza affatto, basta un nulla per ricevere una punizione. Ed ancora col buio le detenute debbono schierarsi nell’aria ancora fredda, in attesa dell’appello. Appello che viene presto completato, visto che in questo periodo il carcere è relativamente vuoto, una ventina di detenute. Fatto l’appello, in attesa che giunga Madame, alle detenute viene fatta eseguire una lunga serie di esercizi ginnico-punitivi. Le divise, riscaldate da sudore iniziano ad emettere l’inconfondibile aroma di sudore rancido ed orina, tipico del “Centro”.
Finalmente giunge Madame Rocio.
Veramente una bella donna, trentenne, capelli neri. Alta e snella. Ama vestirsi da amazzone.
Il viso perfetto, quando Madame si arrabbia mostra una riga rossastra su di una guancia.
Madame Rocio è lesbica ed anche sadica. Una brutta combinazione per le detenute – schiave del Centro. La storia della riga che appare sul viso di Madame quando si arrabbia spiega il suo accanimento su di noi serve. Madame Rocio, figlia di facoltosi nobili, venne allevata da una severa istitutrice che, scoperte le pulsioni lesbiche della giovane, ne approfittava. Il carattere dominatore della giovane, però si stava sviluppando e ben presto tra la istitutrice – amante e la allieva furono liti. Al culmine di una lite l’istitutrice colpì con una forbice il viso della ragazza sfigurandola. Lo shock dell’accaduto segnò profondamente l’animo di Madame che diventò ben presto una padrona inflessibile che godeva nel far soffrire le serve. E a nulla valse la perfetta riuscita di una plastica facciale di un noto chirurgo brasiliano che rese nuovamente perfetto il suo viso.
Madame si laureò in medicina, ma ben presto capì che non era la sua vocazione. Decise così di mettere a frutto i suoi desideri e fondare un centro privato di detenzione per le serve “irrecuperabili”: il Centro de Detencion Maxima. Per dove è situato il Centro è praticamente al di fuori da ogni legislazione che non sia il volere di Madame. Ben presto Padrone esigenti spedirono al Centro le serve più ribelli, certe che Madame le avrebbe spezzate o plasmate ai loro voleri. Ed i soldi delle rette sono sempre stati reimpiegati da Madame per rendere il Centro la miglior istituzione del genere al mondo.

La rasatura
Per le ultime arrivate manca ancora un adempimento: una delle guardiane ci fa sedere a turno su di una sedia e, impugnando una tosatrice elettrica ci rade completamente a zero. Vediamo nostri poveri capelli per terra. Ma non è affatto finita, una dolorosissima ceretta ci asporta le sopracciglia. Seguita a ruota dalle dolorose depilazioni di ascelle pube ed ano. Ci viene spiegato che per ragioni di igiene dovremo sempre essere “lisce”. Non esistono specchi ma, guardandoci l’un l’altra ci rendiamo conto che oltre ai capelli ed ai peli ci è stata tolta anche la dignità. Capiremo presto che il fatto essere rapata a zero serve, oltre che ad umiliarci, a permettere di indossare correttamente la divisa di punizione pesante e costrittiva ben più di una tuta da sub..

La divisa di punizione
Al Centro nessuna delle detenute resta inoperosa. Visto che è il mio primo giorno vengo messa a pulire i pavimenti inginocchiata, ordinaria amministrazione per una serva ormai sfiorita. Ho così modo di guardarmi attorno ed iniziare ad ambientarmi.
La prima detenuta che vedo è Fatima. Una delle mogli del sultano di una sperduta isola dell’oceano. Una giovane istruita e di idee moderne. Il suo stile di vita moderno, ovviamente non piace alla suocera la quale inizia a rompere le reali balle del figlio, fino a che questi cede ed invia la moglie “scostumata” da Madame Rocio per un breve ed intenso stage in cui ci si augura la giovane principessa verrà domata.
Ovviamente questo per Madame è un invito a nozze.
La giovane è una caso “difficile”, abituata ad una ambiente padronale è l’opposto di tutte le altre detenute. Ci è voluta una settimana per convincerla, a suon di botte, ad eseguire gli ordini. Ma non è affatto domata. Bene, si dice Madame, ora di iniziare a fare sul serio. Fatima imparerà oggi l’umiltà e l’opportunità di tenere velate le regali carni.
E’verso le 10 che vedo arrivare la detenuta Fatima, a cui fanno indossare la divisa di punizione: una aderentissima tuta di tessuto gommato nero. L’operazione non è facile, per una detenuta sudata, un provvidenziale barattolo di talco permette a Fatima, sollecitata dal frustino della sorvegliante, di riuscire nell’impresa. La sorvegliante verifica che la tuta sia indossata correttamente. Chiude con un certo sforzo la cerniera posteriore della tuta ed inserisce il lucchetto che blocca inesorabile la cerniera. Poi, per buona misura, applica uno stretto corsetto, sempre nero, stringendolo a fondo.
Alla povera Fatima sembra di non riuscire più a respirare. Il corsetto è molto costrittivo e dà una magnifica siluette, ma a prezzo di qualche sofferenza, come dicevano le signore dei bei tempi andati. Un lucchetto blocca anche il corsetto. Sul capo la detenuta calza un aderente cappuccio, proprio una seconda pelle, che lascia sporgere solo occhi naso e bocca. I lunghi guanti completano lo scafandro. Tra le cosce di Fatima un sacchetto trasparente raccoglierà l’orina, permettendole di lavorare senza interruzioni per le necessità fisiologiche.
Fatima, inizia a sentirsi fastidiosamente bagnata dal proprio sudore anche stando ferma. La sorvegliante porta Fatima in un garage e le mostra quale sarà il suo lavoro odierno: trascinare un calesse. Infatti Madame Rocio ha deciso di approfittare della detenuta da domare per farsi un giro della proprietà. Fatima viene collegata al calesse da robuste cinghie che premono fastidiosamente, rendendo ancora più insopportabile l’accoppiata tuta e corsetto. Tra le labbra della detenuta viene posto un morso, tenuto in posizione da catenelle. Al morso sono collegate delle briglie che permetteranno a Madame di dirigere la “puledrina” senza dover usare la voce. E, al comando ricevuto tramite le briglie, rinforzato da uno schiocco della immancabile frusta, Fatima inizia a camminare, ma i colpi e le incitazioni continuano, fino a che non si mette a trottare.. Grazie alla leggerezza del calesse ed alle scorrevoli ruote la detenuta non fa un grande sforzo. Ma appena uscite dal triplo recinto le cose cambiano radicalmente. Fatima si trova a dover trascinare il carrello sul terreno non battuto. Il trotto si trasforma in arrancare. Inoltre la tuta nera, in pieno sole, porta la temperatura all’interno intorno ai 50 gradi. La giovane è sull’orlo del collasso, ma, ben sapendo che se rallenta saranno cocenti colpi di frustino, Fatima continua nel suo faticosissimo trotto, il rumore del proprio respiro e dei battiti furiosi del cuore sono il suo accompagnamento musicale, altro che auricolari ed mp3, come quando si allenava in università!.
Nel frattempo mi duole la schiena per il continuo lavorare inginocchiata ma mi considero molto molto fortunata di poter lavorare nell’ombra dell’edificio e soprattutto senza l’allucinante divisa da punizione.

La latrina
Le ore passano lente, tra una fatica e l’altra. La vescica inizia a darmi noia ma non so ancora che “etichetta” bisogni seguire. La sorvegliante, vedendomi tenere le cosce strette capisce il problema e mi trascina fino ad una bassa costruzione fuori dall’edificio. Ancora prima di arrivarci capisco il motivo della collocazione: uno spaventoso odore di orina putrefatta mi sconvolge. Infatti niente comodi water: è una realizzazione minimalista, un canaletto raccoglie i liquidi e li porta in una fossa esterna. Per quanto riguarda il resto, dietro al canaletto un foro comunica con la fossa biologica, da cui si alza il resto dei miasmi. State sicure che nessuna si attarda in questo porcile!
Dopo tre lunghe ore torna il calesse di Madame. Lo spauracchio barcollante nella tuta nera è la povera Fatima, ormai all’estremo delle forze. La ristrettezza del corsetto la obbliga a respirare a bocca aperta. Questo, unito al fatto del morso, le ha coperto la bocca di bava schiumosa, proprio come un pony. Madame Rocio ferma il calesse e si accerta delle condizioni del pony, il sacchetto urinario della tuta è ancora sconsolatamente vuoto. La detenuta ha dissipato in sudore tutti i liquidi. Madame, graziosamente le chiede se ha sete e le indica l’immonda vasca con le pipì ormai rancide delle compagne. La povera principessa volta, nauseata la testa. Madame è contenta, le piace questa puledrina da domare.
Con qualche altra ora di traino e riuscirà a spezzarla. Madame si concede il pranzo ed un paio di ore di “siesta”, la povera puledra, ancora legata alle stanghe del calesse si accascia per terra, riprendendo un po’ di respiro e di forze. Per ordine espresso di Madame niente cibo o liquidi per la puledra! Ma è già ora di continuare, Madame ha terminato la siesta, così il calessino di Madame esce, nel calore da fornace del pomeriggio. Madame, conscia che sta spingendo la schiava fino ai limiti e che potrebbe crollare svenuta in ogni momento, si limita ad inanellare giri e giri all’interno del recinto. Presto la puledra cade, semisvenuta. Due detenute sono incaricate di riportarla alla latrina. Qui le viene tolto il cappuccio della tuta. Madame osserva con compiacimento la detenuta: le guance della malcapitata sono paonazze, anzi, violacee per il gran caldo, ottimo contrasto con la pallidissima testa rapata. Ora è giunto il momento della verità. Ad un suo cenno, una sorvegliante immerge una gavetta nella immonda vasca delle pipì e la porge a Fatima. La faccia della poveretta riflette il dilemma a cui è sottoposta, morire di sete, durante un altro giro di traino o annullare il proprio orgoglio e bere il nauseante liquido. La poveretta si ricorda ancora quando, in università, al racconto di una spedizione rimasta senza acqua, i cui componenti erano sopravvissuti bevendo la propria orina, aveva affermato, sorridendo, che era meglio la morte ad una simile indegnità. ED ORA SI TRATTA DELLE PIPI’ DI ALTRE DETENUTE. Ma lo sguardo che fino a quel momento era ancora altero e fissava le aguzzine, si abbassa e guarda per terra. La detenuta avvicina le labbra alla gamella. Inizia a bere, cercando di ignorare il gusto.. Dalla faccia schifata delle detenuta si capisce quale sia il sapore del liquido, surriscaldato dal sole. Uno sguardo supplichevole è diretto a Madame, ma Madame su queste cose non transige, l’umiliazione deve essere completa. E così la povera Fatima è costretta a bersi tutta la gamella. A tratti la si vede chiudere gli occhi e tremare, evidentemente cerca di mandare indietro i conati di vomito.
E per la povera Fatima il destino ha in serbo anche altro, Madame Rocio si sente eccitata nel dominare questa giovane, cercherà di arruolarla tra le proprie schiave personali. Sarebbe un successone piegare la giovane ai propri voleri ed un ottimo affare, a liberazione avvenuta, poter vendere alla suocera foto compromettenti della nuora che si umilia come schiava lesbica.

Vostra detenuta nadia.
(2- continua)