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3 febbraio 2013

LA PUNIZIONE DEL "BALSAMO DI TIGRE"


LA PUNIZIONE DEL “BALSAMO DI TIGRE”
sguattera sudiciona

Premessa
Per curare definitivamente le mie abitudini di “tripoteuse”, Madame Janine ha escogitato un drastico rimedio che ha messo in atto con la collaborazione di Rose M., l'infermiera altoatesina. La punizione ha avuto luogo tre giorni fa, la causa che l'ha generata è stata, ancora una volta, la mia rivoltante propensione ad essere una sguattera sudiciona.

Ore 24,00
Come forse ho già precedentemente scritto, ogni notte, per evitare disgustose manipolazioni, dopo il clistere punitivo sono giustamente assicurata al mio lettino di contenzione a pancia sotto, con indosso ancora la divisa da fatica, il grembiule di gomma, le mezze calze di cotone, il pannolone rivestito dalle doppie mutande di contenzione: un paio di caucciù e l'altro di cuoio, ben chiuse con cerniera doppia e lucchetto. Chi chiude il lucchetto e mi copre la schiena e il sedere con una vecchia coperta è sempre lei, Rose M., l'infermiera di fiducia di Madame Janine.

Come ogni notte, dopo il clistere punitivo sono stata riempita ancora con circa mezzo litro di acqua tiepida, mi è stato inserito nell'ano un plug di gomma, sono stata rivestita di nuovo del mio ormai inseparabile doppio paio di mutande, infine essa pancia sotto, le caviglie e i polsi assicurati ai montanti del lettino da quattro bracciali di cuoio collegati ad altrettante catene di acciaio e coperta con un vecchio plaid. L'infermiera mi ha “sprimacciato” la pancia, facendola ben bene gorgogliare per assicurarsi che fossi piena, ha controllato le mutande, mi ha dato una sonora sculacciata sul sedere e se ne e andata spegnendo la luce. La vecchia sveglia segna mezzanotte in punto.

Ore 6,00
Alle sei del mattino seguente, come ogni giorno della mia vita, domeniche comprese, la prassi è la medesima: sono svegliata da una cameriera di madame Janine davanti alla quale mi devo scaricare, prima di consumare la mia zuppa di tapioca in piedi e di mettermi al lavoro. Purtroppo, non potendomi più toccare da molto tempo, ed avendo una fantasia sessuale decisamente al di sopra della norma, quello che le mie mani e la mia vulva imprigionata non possono ormai concedermi più, lo ha fatto, la notte di quattro giorni fa, la mia mente. Durante il sonno ha creato per me un sogno erotico molto forte e violento, che inevitabilmente mi ha fatto bagnare. 

Ma vengo subito ai fatti. Alle sei in punto arriva Elenoire, la cameriera. Ha il compito di strapparmi la coperta dalla schiena, “sprimacciarmi” il ventre, slegarmi, farmi scendere dal lettino, togliermi le mutande di contenzione, estrarre il “plug” e farmi scaricare davanti a lei. Ma prima di farmi svuotare l'intestino, naturalmente ha il dovere di controllare la mia vulva: guai se la trova bagnata al suo interno! Quel mattino, complice il lurido sogno, ero molto bagnata, nonostante la mia non più giovane età. La donna infila una mano guantata di gomma fra le mie gambe, la ritira e l'esamina alla luce della fioca lampadina che penzola dal soffitto. Le dita della mano sono lucide. 
Elenoire mi fissa con disgusto, gli angoli della bocca si piegano all'ingiù in una smorfia di riprovazione.

Immediatamente viene premuto il tasto dell'interfono che collega la stanzetta delle scope (e della miserabile sguattera sudiciona) al miniappartamento dell'infermiera, fra le due donne vengono dette delle rapide parole in francese, ed ecco che un minuto dopo l'infermiera sopraggiunge a passo di carica, facendo un ritmico rumore di tacchi. Rose M. mi fa allargare bene le gambe, e a sua volta controlla lo stato della vagina dell'immonda sguattera sudiciona. Il risultato è identico a quello conseguito dalla giovane Elenoire: le lunghe affusolate dita guantate della mia carceriera sono bagnate.

Se non fossi tappata, me la farei vergognosamente addosso dalla paura, ma il “plug” non è stato disinserito, e la dose d'acqua “notturna” rimarrà nel mio sudicio intestino fino alle 15 del pomeriggio, in parte riassorbita e in parte espulsa in un secchio di zinco in giardino.
La punizione “esemplare” è fissata per le 16, e della coversazione che l'infermiera altoatesina Rose M. intrattiene con Madame Janine colgo solo due parole: “tripoteuse” e “Baume de Tigre”.
Col mio ventre gorgogliante e il plug saldamente inserito nell'ano, vengo bruscamente avviata dalla cameriera Elenoire al lavoro, senza la scodella di tapioca del mattino e senza potermi lavare la faccia col sapone di Marsiglia.

Ore 16
La punizione, per insindacabile decisione di madame Janine, si terrà in cucina, di fronte alle tre cameriere di Madame: Elenoire, 27 anni; Vera, 31 anni, Odette, 34 anni. Le tre domestiche, nelle loro divise nere e grembiule e crestina bianca, stanno in piedi di lato, le mani conserte appoggiate sul ventre, i volti inespressivi. 
Dietro il pesante tavolo di marmo, siede Madame Janine. Al suo fianco, in piedi, troneggia l'infermiera Rose M. Sul tavolo, vedo un vasetto di vetro chiuso ermeticamente e un salvaslip di grossa taglia, aperto. Poi c'è anche una “cangue” di legno, divisa in due blocchi, dotata di doppia cerniera e di tre fori, uno largo per la testa e due più piccoli per i polsi. Una gogna, insomma: uno di quegli strumenti di punizione di origine medioevale tanto cari a Madame Janine, in uso in Cina fino ai primi del Novecento e descritto minuziosamente da Gustave Mirbeau nel suo inimitabile “Giardino dei supplizi”.

- Sguattera sudiciona, mani sulla testa! - ordina Rose M. Eseguo. L'infermiera compie il giro del tavolo, estrae la chiave del lucchetto che serra la cerniera delle mie spesse mutande di contenzione, apre il luccetto e mi ordina di toglierle, metterle sul tavolo e di rimettere le mani sulla testa. Eseguo. Rose M. si infila un paio di guanti di lattice giallastro, apre il vasetto di vetro. Subito un odore pungente si sparge nell'aria, pervadendo tutta la cucina. Lo riconosco, è “Balsamo di Tigre”. 

Improvvisamente capisco, mi gira la testa, per il terrore la schiena si imperla di sudore che impregna immediatamente il cotone della divisa da fatica.

Nota dell'infermiera Rose M.
Balsamo di tigre è il nome commerciale di un unguento fabbricato e distribuito dalla Haw Par Corporation Limited di Singapore, che ha registrato il marchio; oggi in commercio se ne trovano vari cloni. Venne originariamente sviluppato a Rangoon (Birmania) nel 1870 dall'erborista Aw Chu Kin che, in punto di morte, chiese ai figli Aw Boon Haw ed Aw Boon Par di perfezionare il prodotto. Il balsamo di tigre è disponibile in due varianti:
    Balsamo di tigre rosso, più forte, procura un veloce sollievo dal dolore muscolare.
    Balsamo di tigre bianco, più leggero, indicato per mal di testa e congestione nasale.
    Ingredienti
    Mentolo 10,0%
    Canfora 25,0%
    Olio di cajuput 7,0%
    Olio di cassia (olio di cinnamomo; olio di cannella) 5,0%
    Olio di chiodi di garofano 5,0%
    Olio di menta dementolato 6,0%
    Il resto è a base di paraffina e petrolato (42,0%)
L'infermiera Rose M. intinge il dito indice nel vasetto di vetro, indi spalma una generosa dose di Balsamo di Tigre sul lato interno del salvaslip. È un modello, come dicevo, molto largo: le due ali laterali, ampie ed adesive, una volta a contatto con la pelle, rimangono ben ferme in posizione. Il salvaslip rimane sul tavolo, aperto, mentre il mio collo e i miei polsi, infilati nei fori della cangue, vengono bloccati dal pesante strumento di legno. Le mani stanno ai lati della testa, i gomiti piegati ad angolo retto. Prima che riesca a vederla, rapidissima l'infermiera si avvicina, solleva il grembiule di gomma, la divisa, mi divarica le gambe e applica il salvaslip alla mia vulva, facendo in modo che il diabolico Balsamo di Tigre venga a contatto con le grandi labbra e l'ano. 
La prima sensazione che provo è di freddo intenso sulle mie parti intime. L'odore penetrante della canfora mi stordisce, ma già mi vengno riapplicate le doppie mutande di contenzione, chiuse col lucchetto, ben tirate verso l'alto, in modo che stiano a stretto contatto col salvaslip. L'infermiera, compiaciuta, mi da' dei colpetti sul cavallo delle mutande. 
Le tre cameriere di Madame fissano la scena affascinate, gli occhi luccicanti e le gote che cominciano lievemente a imporporarsi. Sono eccitate. Non passa molto tempo, che dalla sensazione di freddo passo ad una molto più fastidiosa di calore, sempre più intenso. Di minuto in minuto, l'unguento maledetto brucia sempre di più. Senza che me ne renda conto, grosse lacrime scendono dai miei occhi, e inizio a dondolarmi itmicamente sulle gambe. 
 
- Ferma, sudiciona! Niente movimenti scomposti! - sibila Madame Janine. 
Cerco di restare immobile, ma il bruciore sta diventando davvero insopportabile, sembra che tutto il mondo, tutto l'universo sia in fiamme, e quell'universo sia concentrato nel breve tratto compreso fra il mio miserabile ano e la mia ignobile vulva. Nel frattempo, le tre serve hanno cominciato a mostrare segni di eccitazione sempre più evidenti; in particolare Elenoire, che con le mani sempre apparentemente immobili, ha incominciato a sfregarsi lievemente un punto sul grembiule che coincide col Monte di Venere. Madame Janine e l'infermiera evidentemente non se ne accorgono, o fingono di non vedere le tre donne che guardano avidamente la sguattera sudiciona bruciare dentro le sue vergognose mutande.
L'umidità e il calore sono ora insopportabili: fra le lacrime, comincio a contorcermi senza ritegno, cercando di sfregare le cosce l'una contro l'altra, nel vano tentativo di alleviare il dolore e il bruciore. - Guardate, guardate bene! Guardate a cosa conduce l'indulgere a immonde manipolazioni invece di dedicarsi al servizio. Questa sguattera sudiciona sta imparando a sue spese che una brava serva deve dedicare non solo il suo tempo e il suo corpo alla padrona, ma anche i suoi pensieri, i suoi sogni e il suo sonno!
Il Balsamo di Tigre nel frattempo si è insinuato in ogni piega del mio sfintere, ha infiammato la vulva e implacabilmente si fa strada nel mio corpo. Sono sopraffatta dal bruciore, dal desiderio di grattarmi a sangue, ma non posso farlo, la cangue me lo impedisce, e mentre cado a terra contorcendomi scompostamente come una biscia, un fiotto caldo di orina inonda le mutande di contenzione: per un attimo mi pare che la sua stessa piscia possa alleviare il tormento senza confini della miserabile schiava tripoteuse
 Strillo, un po' per il dolore, un po' per la vergogna mentre il getto di orina lentamente si esaurisce. 
- Bene, sudiciona, è ora di mettersi per un po' a pancia sotto a meditare sulla tua ignobile condotta – sogghigna l'infermiera. Mentre l'infermiera altoatesina Rose M. mi solleva per Il laccio del grembiule e mi trascina nella stanzetta delle scope per incatenarmi, cangue e tutto il resto, prona nel mio lettino di contenzione, i miei sensi tesi allo spasimo avvertono lontano ma distinto un suono e un odore inequivocabile: Elenoire è venuta, lievemente, dolcemente, morbidamente, sotto il grembiule.

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