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19 marzo 2015

CENTRO DE DETENCION MADAME ROCIO 1 - L'ARRIVO


Nobili Signore serva sudiciona,
mi si permetta di fare un salto nel mio racconto.
Tralascio le avventure occorse a me ed alla perra dalla condanna alla deportazione, fino all’arrivo nel “Centro de Detencion”, magari avrò modo di ritornarci in seguito.

Il viaggiatore che percorresse la statale 45, in Messico e decidesse di mettere a rischio la propria vita, sfidando così il cartello posto all’interno del SUV a noleggio, che dice di non abbandonare la strada per nessun motivo, avrebbe la possibilità di seguire una vecchia pista dei nativi, usata poi dai cercatori d’oro. Questa pista si addentra in una zona riservata la “Zona del silencio”, una misteriosa zona desertica in cui per “Ragioni biologiche ed ambientali” è scoraggiato, se non addirittura vietato il transito. Questo misterioso divieto, unito alla credenza locale che la zona desertica sia l’omologo terrestre del triangolo delle Bermude e dell “Area 51”, rende il numero di viaggiatori tendente a zero. Ma ben presto, se il nostro viaggiatore fosse un incosciente, scoprirebbe che neanche il potente mezzo meccanico può proseguire, non resta che andare a piedi, seguendo un sentiero vecchio di migliaia di anni, che si inerpica sulle varie “Sierras” e segue il tracciato di vallate tracciate dal torrente “Rio Seco”che, come dice il nome è ormai secco dai tempi che furono ed è solo sabbia e sassi. Se però intendete provarci, assicuratevi di farlo con una carovana di muli carichi di acqua e cibo: non incontrerete che serpenti, scorpioni e lucertole velenose giganti per almeno cinque giorni. Benvenuti nel Deserto di Chihuahua, è proprio il caso di dirlo!
E dopo giorni di cammino, si giunge in un misterioso luogo, ad almeno 100 km di deserto dal più vicino centro abitato. In questo luogo che vedrete solo all’ultimo istante, incassato tra le rupi come è, troverete una tripla recinzione di rete sormontata da filo spinato. All’interno alcune basse costruzioni ed un moderno palazzetto. Nessun cartello vi dirà che questo è il “Centro de Detencion Maxima Pena” della misteriosa e bellissima Madame Rocio.
Per arrivare al “Centro” esistono solo due modi: dall’aria, con un comodo elicottero, utilizzato da Madame Rocio e dalle sue amiche e collaboratrici, oppure a piedi, come la perra ha scoperto, assieme ad altre tre compagne di sventura, tra cui purtroppo anche la narratrice, condannata come complice della perra, nonostante pianti, suppliche e l’intervento della Signora della Pension Balnearia che mi discolpava.
E veniamo a noi. Una volta sbarcate dalla nave mercantile che ci ha trasportato, veniamo prese in consegna da un plotone di sorveglianti. Siamo seminude, la sorveglianti ci portano in un magazzino dei doks, qui ci fanno spogliare e ci rivestono con mutandoni di cotone ed una lurida “tunica da viaggio” bianca, sporchissima. Centinaia di condannate hanno indossato questi stracci per il viaggio verso il Centro. Lo scopo della tunica, di un particolare tessuto di lana, è quello di permetterci di sopravvivere durante l’allucinante marcia nel deserto che ci attende. La tunica, infatti, comprende un cappuccio che copre la faccia, lasciando solo una fessura per gli occhi. Analogamente alle vesti delle popolazioni nomadi dei deserti, la tunica protegge dal sole, impedendo al corpo di evaporare la poca acqua concessaci. Per camminare abbiamo delle calzature di feltro, che isolano i piedi dalla sabbia rovente. Di notte, poiché, al contrario delle sorveglianti che hanno a disposizione una comoda tenda, dobbiamo dormire, incatenate a terra, la tunica ci ripara dal freddo intenso del deserto. Per nostra fortuna, il trasporto delle enormi taniche di acqua e del cibo, tocca agli stoici muli, altrimenti non saremmo mai giunte a destinazione.
Come vi ho accennato, oltre al continuo camminare incatenate, per ore ed ore sotto al sole, il nostro incubo divenne la sete, infatti l’acqua, abbondante per le sorveglianti, era la minima necessaria per sopravvivere.
Tre giorni, dura il viaggio, camminando dal sorgere del sole fino a notte. Le prime ore di viaggio, sono da noi apprezzate, dopo la quasi immobilità sulla nave. Poi il caldo, il sole e la monotonia del brullo paesaggio desertico, unite all’effetto ipnotico di porre un piede avanti all’altro per decine e decine di migliaia di volte, fanno sì che noi si cammini come sotto ipnosi. La sofferenza più grande è la sete, visto che l’acqua, di cui ci sono pur abbondanti scorte, ci viene concessa solo a piccole dosi, sufficienti a non farci morire. Scoprirò poi che nel “Centro” la sete è una delle costanti con cui le detenute debbono fare quotidianamente i conti.
Ed alla fine del viaggio, arriviamo barcollanti alle recinzioni di rete metallica ed ai reticolati che delimitano il “Centro”. Evidentemente esiste qualche occulto mezzo di sorveglianza, perché i cancelli si aprono automaticamente al nostro avvicinarsi, per poi richiudersi, prima di aprire il cancello successivo.
Giungiamo così di fronte alla “Reception”. Crolliamo a terra, stanchissime. Ma qui le detenute non debbono mai oziare, veniamo fatte rialzare ed entrare in una stanza. Qui ognuna di noi viene assegnata ad una sorvegliante.

La sorvegliante e la nuova divisa

La sorvegliante a cui vengo assegnata si chiama Maribel. Indossa una divisa di taglio militare, di foggia quasi maschile, beige. Un distintivo sul braccio sinistro indica la sua appartenenza al “Cuerpo de securidad” ed una targhetta sul petto porta il suo nome, assieme ad una sigla che suppongo sia il grado. Le scarpe sono dei lucidissimi “anfibi” marrone. L’immancabile cinturone con pistola elettrica, di quelle in grado di rendere inoffensivo un rinoceronte, ed un frustino, completano la divisa.
Vengo fatta spogliare completamente, la tunica ed i mutandoni verranno utilizzati per il viaggio di qualche altra sventurata. La sorvegliante si mette dei guanti di lattice e mi sottopone ad una sgradita ed approfondita perquisizione personale. Niente viene lasciato al caso, le dita penetrano e sondano ogni mio orifizio. Se mi fosse permesso vorrei proporre di controllare la bocca per prima……non per ultima come, purtroppo accade.
E poi la sorvegliante Maribel mi indica un grosso pacco posto a terra: il mio nuovo corredo da detenuta. Due paia di mutandoni di spesso cotone grigio ed una divisa, di cotone grezzo, a maniche lunghe, copre fino sotto alle ginocchia, a strisce bianche e grigie. Un cappuccio si allaccia nascondendo completamente il viso, deve coprire la testa e nascondere la faccia in varie occasioni, tra le quali la mensa. In dotazione, ripiegati a parte sono un pesante grembiule di tessuto plasticato, Dallo stesso tessuto è ricavato un pesante cinturone, alto circa 20 centimetri, che permette di stringere il grembiule, fissandolo con un apposito lucchetto. In questo modo il grembiule, anziché essere una protezione da indossare durante i lavori pesanti, può trasformarsi in un fastidioso metodo di costrizione del ventre. Concesso alle detenute un largo cappello di paglia da indossare lavorando al sole, ma dovremo imparare come intrecciarcelo da sole.
Il pacco contiene anche la divisa di punizione: una pesante tuta gommata, di colore nero, completata da lunghi guanti neri. Per il momento mi viene fare indossare la divisa a strisce, vi aggiornerò sulla divisa di punizione in seguito. Nella parte alta del pacco una gavetta di alluminio con all’interno un cucchiaio, una chiara eredità dell’”armada”.
Si è già fatta sera, sono a digiuno dalla sera precedente. Non ho neanche potuto bere ed ho una sete tremenda. Scoprirò presto che la sete è uno dei più efficaci metodi per manipolare le detenute.
Finalmente la sorvegliante mi indica di prendere gavetta e cucchiaio. E vengo fatta mettere in coda per il pasto: un capace mestolo riempie la gavetta di un passato di fagioli estremamente liquido. Guardo le altre detenute che, rialzato leggermente il cappuccio iniziano a mangiare e poi mi metto anche io a sorbire rumorosamente il brodo vegetale. Debbo dire ch è abbondante. Scoprirò all’indomani che alle detenute vengono dati due sole gavette di brodo vegetale e basta, niente pane, bevande od altro. Insomma una dieta drastica e salutare
All’indomani avrei cominciato a conoscere le altre detenute ed i rigorosi metodi di disciplina e punizione adottati da Madame Rocio.
Vostra detenuta nadia.
(1- continua)

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