serva sudiciona,
continuo nel racconto della mia
detenzione.
Madame Rocio
Un ora prima dell’alba le detenute
vengono svegliate da un rumoroso campanello elettrico. Poiché siamo
in un deserto l’aria è fredda, grande contrasto con la fornace del
giorno. Il dormitorio si ridesta, tra lamenti e grugniti. E’tutto
un affannarsi per ripiegare le luride lenzuola nel modo prescritto
per i soldati dell’”armada”. Qui non si scherza affatto, basta
un nulla per ricevere una punizione. Ed ancora col buio le detenute
debbono schierarsi nell’aria ancora fredda, in attesa dell’appello.
Appello che viene presto completato, visto che in questo periodo il
carcere è relativamente vuoto, una ventina di detenute. Fatto
l’appello, in attesa che giunga Madame, alle detenute viene fatta
eseguire una lunga serie di esercizi ginnico-punitivi. Le divise,
riscaldate da sudore iniziano ad emettere l’inconfondibile aroma di
sudore rancido ed orina, tipico del “Centro”.
Finalmente giunge Madame Rocio.
Veramente una bella donna, trentenne,
capelli neri. Alta e snella. Ama vestirsi da amazzone.
Il viso perfetto, quando Madame si
arrabbia mostra una riga rossastra su di una guancia.
Madame Rocio è lesbica ed anche
sadica. Una brutta combinazione per le detenute – schiave del
Centro. La storia della riga che appare sul viso di Madame quando si
arrabbia spiega il suo accanimento su di noi serve. Madame Rocio,
figlia di facoltosi nobili, venne allevata da una severa istitutrice
che, scoperte le pulsioni lesbiche della giovane, ne approfittava. Il
carattere dominatore della giovane, però si stava sviluppando e ben
presto tra la istitutrice – amante e la allieva furono liti. Al
culmine di una lite l’istitutrice colpì con una forbice il viso
della ragazza sfigurandola. Lo shock dell’accaduto segnò
profondamente l’animo di Madame che diventò ben presto una padrona
inflessibile che godeva nel far soffrire le serve. E a nulla valse la
perfetta riuscita di una plastica facciale di un noto chirurgo
brasiliano che rese nuovamente perfetto il suo viso.
Madame si laureò in medicina, ma ben
presto capì che non era la sua vocazione. Decise così di mettere a
frutto i suoi desideri e fondare un centro privato di detenzione per
le serve “irrecuperabili”: il Centro de Detencion Maxima. Per
dove è situato il Centro è praticamente al di fuori da ogni
legislazione che non sia il volere di Madame. Ben presto Padrone
esigenti spedirono al Centro le serve più ribelli, certe che Madame
le avrebbe spezzate o plasmate ai loro voleri. Ed i soldi delle rette
sono sempre stati reimpiegati da Madame per rendere il Centro la
miglior istituzione del genere al mondo.
La rasatura
Per le ultime arrivate manca ancora un
adempimento: una delle guardiane ci fa sedere a turno su di una sedia
e, impugnando una tosatrice elettrica ci rade completamente a zero.
Vediamo nostri poveri capelli per terra. Ma non è affatto finita,
una dolorosissima ceretta ci asporta le sopracciglia. Seguita a ruota
dalle dolorose depilazioni di ascelle pube ed ano. Ci viene spiegato
che per ragioni di igiene dovremo sempre essere “lisce”. Non
esistono specchi ma, guardandoci l’un l’altra ci rendiamo conto
che oltre ai capelli ed ai peli ci è stata tolta anche la dignità.
Capiremo presto che il fatto essere rapata a zero serve, oltre che ad
umiliarci, a permettere di indossare correttamente la divisa di
punizione pesante e costrittiva ben più di una tuta da sub..
La divisa di punizione
Al Centro nessuna delle detenute resta
inoperosa. Visto che è il mio primo giorno vengo messa a pulire i
pavimenti inginocchiata, ordinaria amministrazione per una serva
ormai sfiorita. Ho così modo di guardarmi attorno ed iniziare ad
ambientarmi.
La prima detenuta che vedo è Fatima.
Una delle mogli del sultano di una sperduta isola dell’oceano. Una
giovane istruita e di idee moderne. Il suo stile di vita moderno,
ovviamente non piace alla suocera la quale inizia a rompere le reali
balle del figlio, fino a che questi cede ed invia la moglie
“scostumata” da Madame Rocio per un breve ed intenso stage in cui
ci si augura la giovane principessa verrà domata.
Ovviamente questo per Madame è un
invito a nozze.
La giovane è una caso “difficile”,
abituata ad una ambiente padronale è l’opposto di tutte le altre
detenute. Ci è voluta una settimana per convincerla, a suon di
botte, ad eseguire gli ordini. Ma non è affatto domata. Bene, si
dice Madame, ora di iniziare a fare sul serio. Fatima imparerà oggi
l’umiltà e l’opportunità di tenere velate le regali carni.
E’verso le 10 che vedo arrivare la
detenuta Fatima, a cui fanno indossare la divisa di punizione: una
aderentissima tuta di tessuto gommato nero. L’operazione non è
facile, per una detenuta sudata, un provvidenziale barattolo di talco
permette a Fatima, sollecitata dal frustino della sorvegliante, di
riuscire nell’impresa. La sorvegliante verifica che la tuta sia
indossata correttamente. Chiude con un certo sforzo la cerniera
posteriore della tuta ed inserisce il lucchetto che blocca
inesorabile la cerniera. Poi, per buona misura, applica uno stretto
corsetto, sempre nero, stringendolo a fondo.
Alla povera Fatima sembra di non
riuscire più a respirare. Il corsetto è molto costrittivo e dà una
magnifica siluette, ma a prezzo di qualche sofferenza, come dicevano
le signore dei bei tempi andati. Un lucchetto blocca anche il
corsetto. Sul capo la detenuta calza un aderente cappuccio, proprio
una seconda pelle, che lascia sporgere solo occhi naso e bocca. I
lunghi guanti completano lo scafandro. Tra le cosce di Fatima un
sacchetto trasparente raccoglierà l’orina, permettendole di
lavorare senza interruzioni per le necessità fisiologiche.
Fatima, inizia a sentirsi
fastidiosamente bagnata dal proprio sudore anche stando ferma. La
sorvegliante porta Fatima in un garage e le mostra quale sarà il suo
lavoro odierno: trascinare un calesse. Infatti Madame Rocio ha deciso
di approfittare della detenuta da domare per farsi un giro della
proprietà. Fatima viene collegata al calesse da robuste cinghie che
premono fastidiosamente, rendendo ancora più insopportabile
l’accoppiata tuta e corsetto. Tra le labbra della detenuta viene
posto un morso, tenuto in posizione da catenelle. Al morso sono
collegate delle briglie che permetteranno a Madame di dirigere la
“puledrina” senza dover usare la voce. E, al comando ricevuto
tramite le briglie, rinforzato da uno schiocco della immancabile
frusta, Fatima inizia a camminare, ma i colpi e le incitazioni
continuano, fino a che non si mette a trottare.. Grazie alla
leggerezza del calesse ed alle scorrevoli ruote la detenuta non fa un
grande sforzo. Ma appena uscite dal triplo recinto le cose cambiano
radicalmente. Fatima si trova a dover trascinare il carrello sul
terreno non battuto. Il trotto si trasforma in arrancare. Inoltre la
tuta nera, in pieno sole, porta la temperatura all’interno intorno
ai 50 gradi. La giovane è sull’orlo del collasso, ma, ben sapendo
che se rallenta saranno cocenti colpi di frustino, Fatima continua
nel suo faticosissimo trotto, il rumore del proprio respiro e dei
battiti furiosi del cuore sono il suo accompagnamento musicale, altro
che auricolari ed mp3, come quando si allenava in università!.
Nel frattempo mi duole la schiena per
il continuo lavorare inginocchiata ma mi considero molto molto
fortunata di poter lavorare nell’ombra dell’edificio e
soprattutto senza l’allucinante divisa da punizione.
La latrina
Le ore passano lente, tra una fatica e
l’altra. La vescica inizia a darmi noia ma non so ancora che
“etichetta” bisogni seguire. La sorvegliante, vedendomi tenere le
cosce strette capisce il problema e mi trascina fino ad una bassa
costruzione fuori dall’edificio. Ancora prima di arrivarci capisco
il motivo della collocazione: uno spaventoso odore di orina
putrefatta mi sconvolge. Infatti niente comodi water: è una
realizzazione minimalista, un canaletto raccoglie i liquidi e li
porta in una fossa esterna. Per quanto riguarda il resto, dietro al
canaletto un foro comunica con la fossa biologica, da cui si alza il
resto dei miasmi. State sicure che nessuna si attarda in questo
porcile!
Dopo tre lunghe ore torna il calesse di
Madame. Lo spauracchio barcollante nella tuta nera è la povera
Fatima, ormai all’estremo delle forze. La ristrettezza del corsetto
la obbliga a respirare a bocca aperta. Questo, unito al fatto del
morso, le ha coperto la bocca di bava schiumosa, proprio come un
pony. Madame Rocio ferma il calesse e si accerta delle condizioni
del pony, il sacchetto urinario della tuta è ancora sconsolatamente
vuoto. La detenuta ha dissipato in sudore tutti i liquidi. Madame,
graziosamente le chiede se ha sete e le indica l’immonda vasca con
le pipì ormai rancide delle compagne. La povera principessa volta,
nauseata la testa. Madame è contenta, le piace questa puledrina da
domare.
Con qualche altra ora di traino e
riuscirà a spezzarla. Madame si concede il pranzo ed un paio di ore
di “siesta”, la povera puledra, ancora legata alle stanghe del
calesse si accascia per terra, riprendendo un po’ di respiro e di
forze. Per ordine espresso di Madame niente cibo o liquidi per la
puledra! Ma è già ora di continuare, Madame ha terminato la siesta,
così il calessino di Madame esce, nel calore da fornace del
pomeriggio. Madame, conscia che sta spingendo la schiava fino ai
limiti e che potrebbe crollare svenuta in ogni momento, si limita ad
inanellare giri e giri all’interno del recinto. Presto la puledra
cade, semisvenuta. Due detenute sono incaricate di riportarla alla
latrina. Qui le viene tolto il cappuccio della tuta. Madame osserva
con compiacimento la detenuta: le guance della malcapitata sono
paonazze, anzi, violacee per il gran caldo, ottimo contrasto con la
pallidissima testa rapata. Ora è giunto il momento della verità. Ad
un suo cenno, una sorvegliante immerge una gavetta nella immonda
vasca delle pipì e la porge a Fatima. La faccia della poveretta
riflette il dilemma a cui è sottoposta, morire di sete, durante un
altro giro di traino o annullare il proprio orgoglio e bere il
nauseante liquido. La poveretta si ricorda ancora quando, in
università, al racconto di una spedizione rimasta senza acqua, i
cui componenti erano sopravvissuti bevendo la propria orina, aveva
affermato, sorridendo, che era meglio la morte ad una simile
indegnità. ED ORA SI TRATTA DELLE PIPI’ DI ALTRE DETENUTE. Ma lo
sguardo che fino a quel momento era ancora altero e fissava le
aguzzine, si abbassa e guarda per terra. La detenuta avvicina le
labbra alla gamella. Inizia a bere, cercando di ignorare il gusto..
Dalla faccia schifata delle detenuta si capisce quale sia il sapore
del liquido, surriscaldato dal sole. Uno sguardo supplichevole è
diretto a Madame, ma Madame su queste cose non transige,
l’umiliazione deve essere completa. E così la povera Fatima è
costretta a bersi tutta la gamella. A tratti la si vede chiudere gli
occhi e tremare, evidentemente cerca di mandare indietro i conati di
vomito.
E per la povera Fatima il destino ha in
serbo anche altro, Madame Rocio si sente eccitata nel dominare questa
giovane, cercherà di arruolarla tra le proprie schiave personali.
Sarebbe un successone piegare la giovane ai propri voleri ed un
ottimo affare, a liberazione avvenuta, poter vendere alla suocera
foto compromettenti della nuora che si umilia come schiava lesbica.
Vostra detenuta nadia.
(2- continua)
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