Gentilissima Madame Janine,
sicuramente la sguattera sudiciona, sigillata nelle sue doppie mutande, è impossibilitata a cercare i piaceri indebiti a cui era avvezza, infatti uno stato di spessa gomma, doppiato da una robusta mutanda di cuoio impedisce qualsiasi suo tentativo. Ma, anche rifacendomi ai deliziosi disegni della schiava Elizabeth, non vorrei che la sguattera abbia trovato un escamotage per ottenere comunque turpi orgasmi, massaggiandosi i capezzoli che, almeno nei disegni, sono tenuti liberi.. Ora, sappiamo benissimo che gli orgasmi ottenuti in questo modo sono spesso un mito, ciò nonostante potrebbe essere utile disciplinare anche questa zona. Mi trovo però in difficoltà a suggerire un metodo valido, l’idea che mi viene è quella di un apposito reggiseno contenitivo-punitivo, imbottito con il materiale delle spugnette ruvide. In alternativa al reggiseno si potrebbe usare una larga striscia contenitivo-compressiva che mantenga dolorosamente le cose al loro posto, anche durante lavori che richiedano di sporgersi in avanti oppure durante le corse punitive. Tale striscia sarebbe anche giustificata dal fatto che, data l’età non proprio verde della sudiciona, le zinne cominciano ad afflosciarsi ed a pendere sempre più in basso, quindi perché non nasconderle completamente? Un alternativa più semplice potrebbe essere di limitarsi a foderare l’interno delle divise e dei grembiuli spugnette abrasive, cucite nei punti opportuni. A questo punto sfido la sudiciona a massaggiarsi, tenuto conto che le impudiche mammelle saranno già tenute opportunamente irritate dai continui sfregamenti contro le terribili spugnette.
Madame, indirizzo a Lei la missiva per competenza, ma, se Lei è d'accordo, si potrebbe ordinare alla sudiciona di pubblicarla. Credo che l'argomento possa interessare le attente lettrici.
Sua FrauJulia
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CHIUNQUE PROSEGUA NELLA LETTURA LO FA CONSAPEVOLMENTE
Il blog LA DOMESTICA RISPONDE è da considerarsi completamente opera di fantasia. I personaggi e le situazioni descritte sono fittizi, e l'eventuale somiglianza con persone o fatti esistenti è da ritenersi totalmente accidentale.
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29 aprile 2015
CASTITA' DELLA SERVA / una lettera di FrauJulia
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25 aprile 2015
LANCY 17 - LA PETOMANE
LANCY 17 – LA PETOMANE
di sguattera sudiciona
La Dottoressa ha deciso di sottoporre
la promettente vacca 14 a nuovi esperimenti. Tale decisione deriva
anche dalla segnalazione di una delle Infermiere Mungitrici, relativa
alla abbondante emissione di peti della vacca 14. Ora, dato il regime
a cui sono sottoposte, non è affatto insolito che le vacche emettano
potenti scorregge, ma la vacca 14 ha trovato il modo di farsi notare
anche stavolta.
Benissimo, si dice la Dottoressa,
questa è una buona occasione per allenare la vacca 14 a trattenere
il più possibile i gas intestinali.
Una breve telefonata ordina di portare
la vacca 14 in ambulatorio. La sudiciona non si aspettava affatto di
essere portata nuovamente in ambulatorio e, quando capisce dove si
trova delle lacrime di paura scorrono lungo le guance. Lacrime che
indispongono alquanto la Dottoressa. “stupida vacca, io ti onoro
delle mie cure e tu piangi senza motivo”, grida schiaffeggiando
ripetutamente guance e mammelle della sudiciona.
La dottoressa ha ideato un altro
doloroso esperimento a cui sottoporre la sudiciona. Innanzitutto la
vacca 14 viene denudata e fatta “accomodare” su di una bicicletta
da camera, posta nell’ ambulatorio. Le mani della sudiciona trovano
posto in “guanti di contenzione” fissati al manubrio, i piedi
sono fissati ai pedali. La sella è simile a quella per prevenire
problematiche alla prostata dei maschietti: una specie di “V” che
non preme sulle parti intime ma che, in questa applicazione permette
libero accesso agli sfinteri della “vacca ciclista”. La
dottoressa, ora, si arma di una spugnetta estremamente abrasiva e
“tratta” capezzoli, ventre, ed interno cosce della sudiciona. Qui
vengono incollati grossi elettrodi che sono poi collegati ai cavi di
una sofisticata centralina. La Dottoressa ordina alla sudiciona di
iniziare a pedalare. Lo sforzo richiesto, sia pur non enorme, è
abbastanza notevole. La Dottoressa istruisce la vacca 14 su di una
specie di “semaforo” a led. La pedalata dovrà tenere acceso il
led verde posto al centro. La sudiciona potrà far accendere
impunemente il led giallo di velocità eccessiva, ma ad ogni
accensione del led rosso di bassa velocità si avvierà un generatore
di dolorose scosse. La sudiciona, che pedalava svogliatamente, ha
subito un assaggio che la fa torcere e le strappa un grido di dolore.
Ma la dottoressa ha in serbo altro per la sudiciona: preleva una
grossa “pera” di gomma da un carrello. La dottoressa preme la
pera, sorridendo soddisfatta al rumore dell’aria che esce e rientra
dal cannello. Cannello che, in men che non si dica finisce tra le
natiche della sudiciona. Ora la Dottoressa preme gradualmente la
pera, immettendone l’aria nell’intestino della sudiciona. Ma una
sola pera non basta, la Dottoressa ne spremerà ben tre nella pancia
della vacca 14. La sudiciona sente l’intestino dolorosamente pieno
di aria. La Dottoressa estrae la pera, la sudiciona stringe
spasmodicamente lo sfintere, sforzandosi di continuare a pedalare
alla velocità prescritta. Un gorgoglio segnala che l’aria si è
distribuita un po’ meglio e la sudiciona sente scomparire il
dolore. Sollevata si concentra sulla pedalata. Dea un po’ ha
iniziato a sudare. Ma la Dottoressa non è soddisfatta, una seconda
pera di aria strappa un mugolio alla sudiciona, che rallenta
visibilmente la pedalata. Ahhhh è la reazione alla inevitabile
scossa. La sudiciona, per paura delle scosse, accelera nuovamente, ma
la Dottoressa le scarica una terza pera di aria. La pancia ora duole
moltissimo. La sudiciona, però, con le mani bloccate non può
neanche massaggiarsela. Un nuovo gorgoglio segnala che il gas si è
trovato una strada nei meandri della pancia della ciclista. Ma ora la
Dottoressa avverte la sudiciona che sta per indurire la pedalata. La
sudiciona si sforza disperatamente, si sente il cuore in gola. Ma gli
sforzi per pedalare stanno causando un altro problema, i movimenti
peristaltici, uniti alla pressione dei muscoli, tesi per assecondare
lo sforzo delle gambe, hanno spostato una parte del gas fino all’ano
della sudiciona. La sudiciona ha ora un urgente bisogno di
scoreggiare. Bisogno che si ingigantisce ad ogni pedalata. La
pedalata della sudiciona, tormentata dal mal di pancia si fa
irregolare. Sulla faccia si legge tutta la fatica ed il dolore.
Concentrata come è sui propri problemi, la sudiciona non sente
neanche l’incoraggiamento della Dottoressa che la dice che manca
solo mezz’ora alla fine della prova. La sudiciona prova a
rilasciare un poco alla volta lo sfintere, se le andrà bene riuscirà
ad liberarsi almeno di una parte del gas senza che la Dottoressa se
ne accorga. Ma purtroppo per la sudiciona “il cul fece trombetta”,
nel silenzio l’osceno rumore risalta ancora di più, facendo
infuriare la Dottoressa.
La sudiciona viene fatta scendere dal
sellino le viene ordinato di restare in piedi, una impietosa speciale
sonda di gomma rossa, fornita di fori per fare uscire i gas le viene
profondamente inserita nell’intestino e la mano della dottoressa
preme di piatto sul ventre svuotandolo dolorosamente.
Ma la Dottoressa vuole, in qualche
modo, castigare la Mucca 14 per l’irriverenza. Scrive su di una
delle sue ricette: Sottoporre la mucca 14 a clistere di 2 litri di
latte e melassa. Applicare plug numero 4. Ritenzione 20 minuti. Se vi
fossero coliche gassose ripetere il clistere una o due volte. Ora,
dovete sapere che il latte e melassa, era una antica formula
curativo-punitiva utilizzata nel periodo vittoriano, appunto per le
serve scorreggione. L’effetto non solo è fortemente purgativo ma,
appunto, genera moltissimi gas intestinali
La sudiciona viene rimandata,
accompagnata dalla ricetta punitiva alla stalla. Qui giunta viene
presa in carico da una infermiera mungitrice che si incarica di farle
passare una serata indimenticabile. Alla mucca 14 viene applicata una
specie di gogna che blocca assieme polsi e caviglie, in pratica è
“incaprettata”. Senza fretta l’infermiera avvicina una piantana
su di cui fa bella mostra un antico irrigatore di vetro, un pezzo da
museo. L’irrigatore è pieno di una mistura del colore di un
cappuccino: latte con melassa nera, la più potente. Al termine della
gomma troviamo una sonda, sempre vintage, di ebanite nera. La forma è
piriforme, facile ma dolorosa da infilare, poi tappa abbastanza bene
ed è difficile da espellere involontariamente. L’infermiera infila
senza troppi complimenti la cannula alla sudiciona e al lamento che
segue all’operazione commenta “vacca 14, stasera avrai modo di
abituarti ben benino a questo cannello!”.
La sudiciona ora è tutta concentrata,
cosa le riserverà questo clistere, stranamente poco abbondante? E
cosa è quel liquido dallo strano colore?
Lo scoprirà ben presto, infatti la
Mungitrice apre del tutto la chiavetta. Un fiotto di liquido
caldissimo fa sussultare la sudiciona. Il liquido entra senza dare
poi quel gran fastidio. La sudiciona è contenta, credeva molto
peggio. Ma ha fatto i conti senza l’oste, ancora prima che il
liquido finisca dal suo pancione iniziano a sentirsi imbarazzanti
gorgoglii. E a cannula chiusa, ma col cannello ben inserito a fare da
tappo, i gorgoglii continuano, ora la sudiciona sente l’intestino
che si gonfia e rilascia fastidiosamente. Insomma il latte e melassa
sta facendo effetto. Il viso della sudiciona ora mostra chiaramente
che il fastidio sta trasformandosi in dolore, non un dolore
localizzato ma un dolore che è dappertutto, si muove in sincronia
con le bolle di gas che smuovono il liquido purgativo causando
l’emissione di ulteriore gas. In pratica è una reazione a catena.
Dolorosamente, mosso da potenti movimenti peristaltici, il gas si fa
strada …. verso l’uscita. Uscita che però è sbarrata dal plug.
Non so se la sudiciona debba ringraziare l’Infermiera di madame
Janine per averle risparmiato lo sfintere o dolersi di questo fatto.
Alla fine l’inevitabile accade, un geyser spara all’esterno la
cannula, seguita da liquidi e gas innominabili. La Mungitrice,
evidentemente avvezza a questo tipo di castighi,. sculaccia
fortemente la sudiciona e infila nuovamente un plug di misura
superiore, infatti vi sono ben quattro misure di plug . “Questo ti
costerà la ripetizione di questo clistere dall’inizio”, sono le
sue parole ad una sudiciona ormai sconvolta dal mal di ventre.
E la ripetizione del clistere avviene
puntualmente non appena la sudiciona ha dolorosamente e rumorosamente
smaltito il precedente.
La mucca 14 capisce che stavolta sarà
anche peggio: le duole ancora la pancia per i maltrattamenti
precedenti e l’Infermiera Mungitrice è già lì con l’enteroclisma
pieno fino all’orlo di caldissimo liquido sconvolgente. Ed a
giudicare dal colore, la dose di melassa nera è stata pure
aumentata. La sudiciona, da brava vacca, cerca di commuovere la
mungitrice, ma questa mossa a Lancy non può funzionare, anzi, frutta
alla sudiciona alcuni colpi di scudiscio.
E presto la sudiciona si torce
nell’accogliere nelle budella il plug attraverso cui la irrigano
col terribile latte purgativo. I brontolii ed i dolori sono ancora
più forti di prima ma, per fortuna della sudiciona, il suo intestino
si è ben vuotato con il clistere precedente. Per cui, sia pure con
una mongolfiera al posto della pancia, la sudiciona stavolta non
“spara” via il plug. Il tempo di attesa pare eterno, ma
finalmente la Mungitrice apre la gogna che teneva incaprettata la
sudiciona. Ma il tormento non è finito, la sudiciona sempre tappata
deve eseguire la marcia punitiva fino alla stalla. Vi giunge
stravolta dai dolori e dalla nausea. Qui giunte, finalmente la
mungitrice le dà una pacca sul sedere e le permette di “spingere”.
Potete immaginare quale sia l’effetto, visto la quantità di gas
che deforma grottescamente il ventre della mucca 14.
Vostra stupida vacca sudiciona.
(17- continua)
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DIARIO DI UN'EDUCAZIONE 8
Diario di una educazione – 8
Nell’educazione della nostra serva
trovano posto anche metodi disciplinari più tradizionali, metodi che
la Oberschwester utilizzava quotidianamente sulle atlete, metodi che
non lasciano segni visibili e non usano debilitanti purganti o
clisteri. Vincendo la vergogna la serva racconta le proprie punizioni
alle amiche.
La serva, come al solito, ha pulito
male il pavimento. Inutile la scusa di avere fretta di finire il
lavoro. La Oberschwester le impone un castigo dal nome intraducibile
in italiano, lo chiameremo “il castigo della lastra”. La serva
viene fatta denudare completamente e fatta stendere prona. Il
pavimento è freddissimo e la serva si ingegna, inarcandosi e
puntellandosi sui gomiti e sulle ginocchia, per non appoggiare pancia
e mammelle. Passano un paio di minuti, da dietro, una inesorabile
spinta, data dalla pianta del piede della Oberschwester, obbliga a
poggiare le parti delicate, la serva ha un sussulto, il freddo le
toglie il respiro. Ora alla serva viene ordinato di mettersi con le
mani dietro alla nuca, gomiti ben sollevati da terra. In questa
posizione le punte dei piedi, le ginocchia, la pancia e le mammelle
sostengono tutto il peso, appoggiando sulle fredde lastre del
pavimento. La Oberchwester ha anche aperto la finestra, in modo che
la fredda ed umida aria di un giorno di pioggia aumenti il freddo
trasmesso dal pavimento alle nude carni della serva. Alla serva viene
subito la pelle d’oca, ed il pavimento pare risucchiarle tutto il
calore dal corpo all’infinito. Ben presto la posizione
forzatamente immobile diventa un tormento. In particolare la serva
sente il peso gravare su pancia e tette che le paiono pezzi di
ghiaccio. I capezzoli, induriti dal gelo, le dolgono ad ogni respiro.
La voglia di muoversi e massaggiarsi diventa ogni minuto più
irresistibile, ma la serva, che sente dietro di sé la presenza e lo
sguardo della sorvegliante, non osa muoversi. Un inarrestabile
tremito la percorre, manca solo di sentirle battere i denti. Di lì
ad una interminabile mezz’ora la Oberschwester si allontana un
attimo, forse per un bisogno fisiologico. Come sente i passi
allontanarsi la serva di mette in ginocchio ed inizia a grattarsi e
frizionarsi furiosamente. Ed è proprio nell’atto di grattarsi la
patata che la serva viene colta dalla Oberschwester. “Peccato,
stavo per dichiarare conclusa la tua punizione” dice la
Oberschwester, “ora farò in modo che tu ti ricordi a lungo di
questa tua bravata”. La serva deve bere una intera caraffa di
acqua fredda e viene rimessa prona, su di una lastra diversa del
pavimento, in modo che sia ancora ben fredda. Le mani sempre dietro
la nuca. Passa un'altra mezz’ora. La serva ormai trema e batte i
denti di continuo. Ma il freddo che prova, e l’acqua ingurgitata le
hanno ben riempito la vescica. La serva stringe inconsapevolmente le
cosce. La Oberschwester, che la osserva attentamente, la fa mettere
un attimo supina. Mani esperte palpano e premono dolorosamente in
corrispondenza della vescica ormai gonfia e distesa. La serva è
piena al punto giusto. La Oberschwester si allontana un attimo e
torna con una boule gonfia di acqua, fredda di frigorifero, saranno
cinque o sei gradi. La serva deve rimettersi prona, la boule piena di
acqua gelata posta sotto la pancia. Ora la punita appoggia sulle
tette e sulla boule e la pressione si trasmette alla vescica. La
sensazione di gelo si combina con la voglia irresistibile di orinare.
La serva squittisce e stringe spasmodicamente le cosce. Osa chiedere
pietà ma sente la Oberschwester: “devi resistere fino a quando ti
darò il permesso, se ti pisci addosso dovrai pulire tutto il
pavimento con la lingua”. Ma è destino che la povera serva non
riesca a farcela, di lì a cinque minuti di sofferenza il freddo la
vince sulla sua poca forza di volontà ed una calda pozzanghera si
allarga sul pavimento. La Oberschwester invita ora la serva a “farla
tutta”, tanto dovrà lappare tutto il pavimento. E dover leccare
tutta la propria piscia ormai gelata, sentendone in continuo lo
stomachevole sapore, sarà il nauseante coronamento della “punizione
della lastra”.
In una altra occasione la serva è
stata sottoposta al “castigo della spazzola”.
E’ stata messa a cavallo di uno
sgabello basso, le cosce aperte e le ginocchia ad angolo retto,
modo che sostengano tutto il peso del
corpo. Le mani dietro la nuca. L’altezza dello sgabello, con
l’aiuto di alcuni libri, è regolata, in modo che la fica della
serva sfiori appena le setole di una spazzola, di quelle di una volta
di rigido e pungente crine, appoggiata sul piano. La serva, nuda,
deve restare “in posizione”, di fronte alla Oberschwester. Di lì
a poco iniziano i dolori alle cosce ed alla schiena. “Ferma, devi
stare ferma!” è l’ordine che viene continuamente ripetuto. I
muscoli delle cosce iniziano a bruciare, le gambe tremano per lo
sforzo di sostenere il peso in quella posizione impossibile. La serva
ha il viso arrossato, gocce di sudore ruscellano dalle ascelle, ma
bisogna restare immobile. Quando le gambe cedono la fica si "siede"
sulla spazzola con tutto il peso del corpo...
La serva stimolata dal dolore ha uno
scatto e si risolleva, “Ferma, stai ferma!” ripete la
Oberschwester, e ben presto alla serva mancano le forze e si appoggia
nuovamente, rilasciando finalmente la tensione nei muscoli doloranti.
I crini della spazzola segnano a fondo le tenere e delicate carni,
senza del resto riuscire a bucarle o fare danni. La serva tiene gli
occhi chiusi e si morde le labbra, concentrata nel non muoversi e non
urlare.
Passa un terribile quarto d’ora,
prima dell’ordine , “ora puoi rialzarti”. Madame ed
Oberschwester verificano lo stato della parte punita, commentando lo
“stampo” violaceo, lasciato dalle setole. Ed alla serva verrà
vietato assolutamente, una volta rialzata di “massaggiare” la
“parte offesa”.
(8- continua)
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CENTRO DE DETENCION MADAME ROCIO 2 - LE DIVISE DELLE FORZATE
serva sudiciona,
continuo nel racconto della mia
detenzione.
Madame Rocio
Un ora prima dell’alba le detenute
vengono svegliate da un rumoroso campanello elettrico. Poiché siamo
in un deserto l’aria è fredda, grande contrasto con la fornace del
giorno. Il dormitorio si ridesta, tra lamenti e grugniti. E’tutto
un affannarsi per ripiegare le luride lenzuola nel modo prescritto
per i soldati dell’”armada”. Qui non si scherza affatto, basta
un nulla per ricevere una punizione. Ed ancora col buio le detenute
debbono schierarsi nell’aria ancora fredda, in attesa dell’appello.
Appello che viene presto completato, visto che in questo periodo il
carcere è relativamente vuoto, una ventina di detenute. Fatto
l’appello, in attesa che giunga Madame, alle detenute viene fatta
eseguire una lunga serie di esercizi ginnico-punitivi. Le divise,
riscaldate da sudore iniziano ad emettere l’inconfondibile aroma di
sudore rancido ed orina, tipico del “Centro”.
Finalmente giunge Madame Rocio.
Veramente una bella donna, trentenne,
capelli neri. Alta e snella. Ama vestirsi da amazzone.
Il viso perfetto, quando Madame si
arrabbia mostra una riga rossastra su di una guancia.
Madame Rocio è lesbica ed anche
sadica. Una brutta combinazione per le detenute – schiave del
Centro. La storia della riga che appare sul viso di Madame quando si
arrabbia spiega il suo accanimento su di noi serve. Madame Rocio,
figlia di facoltosi nobili, venne allevata da una severa istitutrice
che, scoperte le pulsioni lesbiche della giovane, ne approfittava. Il
carattere dominatore della giovane, però si stava sviluppando e ben
presto tra la istitutrice – amante e la allieva furono liti. Al
culmine di una lite l’istitutrice colpì con una forbice il viso
della ragazza sfigurandola. Lo shock dell’accaduto segnò
profondamente l’animo di Madame che diventò ben presto una padrona
inflessibile che godeva nel far soffrire le serve. E a nulla valse la
perfetta riuscita di una plastica facciale di un noto chirurgo
brasiliano che rese nuovamente perfetto il suo viso.
Madame si laureò in medicina, ma ben
presto capì che non era la sua vocazione. Decise così di mettere a
frutto i suoi desideri e fondare un centro privato di detenzione per
le serve “irrecuperabili”: il Centro de Detencion Maxima. Per
dove è situato il Centro è praticamente al di fuori da ogni
legislazione che non sia il volere di Madame. Ben presto Padrone
esigenti spedirono al Centro le serve più ribelli, certe che Madame
le avrebbe spezzate o plasmate ai loro voleri. Ed i soldi delle rette
sono sempre stati reimpiegati da Madame per rendere il Centro la
miglior istituzione del genere al mondo.
La rasatura
Per le ultime arrivate manca ancora un
adempimento: una delle guardiane ci fa sedere a turno su di una sedia
e, impugnando una tosatrice elettrica ci rade completamente a zero.
Vediamo nostri poveri capelli per terra. Ma non è affatto finita,
una dolorosissima ceretta ci asporta le sopracciglia. Seguita a ruota
dalle dolorose depilazioni di ascelle pube ed ano. Ci viene spiegato
che per ragioni di igiene dovremo sempre essere “lisce”. Non
esistono specchi ma, guardandoci l’un l’altra ci rendiamo conto
che oltre ai capelli ed ai peli ci è stata tolta anche la dignità.
Capiremo presto che il fatto essere rapata a zero serve, oltre che ad
umiliarci, a permettere di indossare correttamente la divisa di
punizione pesante e costrittiva ben più di una tuta da sub..
La divisa di punizione
Al Centro nessuna delle detenute resta
inoperosa. Visto che è il mio primo giorno vengo messa a pulire i
pavimenti inginocchiata, ordinaria amministrazione per una serva
ormai sfiorita. Ho così modo di guardarmi attorno ed iniziare ad
ambientarmi.
La prima detenuta che vedo è Fatima.
Una delle mogli del sultano di una sperduta isola dell’oceano. Una
giovane istruita e di idee moderne. Il suo stile di vita moderno,
ovviamente non piace alla suocera la quale inizia a rompere le reali
balle del figlio, fino a che questi cede ed invia la moglie
“scostumata” da Madame Rocio per un breve ed intenso stage in cui
ci si augura la giovane principessa verrà domata.
Ovviamente questo per Madame è un
invito a nozze.
La giovane è una caso “difficile”,
abituata ad una ambiente padronale è l’opposto di tutte le altre
detenute. Ci è voluta una settimana per convincerla, a suon di
botte, ad eseguire gli ordini. Ma non è affatto domata. Bene, si
dice Madame, ora di iniziare a fare sul serio. Fatima imparerà oggi
l’umiltà e l’opportunità di tenere velate le regali carni.
E’verso le 10 che vedo arrivare la
detenuta Fatima, a cui fanno indossare la divisa di punizione: una
aderentissima tuta di tessuto gommato nero. L’operazione non è
facile, per una detenuta sudata, un provvidenziale barattolo di talco
permette a Fatima, sollecitata dal frustino della sorvegliante, di
riuscire nell’impresa. La sorvegliante verifica che la tuta sia
indossata correttamente. Chiude con un certo sforzo la cerniera
posteriore della tuta ed inserisce il lucchetto che blocca
inesorabile la cerniera. Poi, per buona misura, applica uno stretto
corsetto, sempre nero, stringendolo a fondo.
Alla povera Fatima sembra di non
riuscire più a respirare. Il corsetto è molto costrittivo e dà una
magnifica siluette, ma a prezzo di qualche sofferenza, come dicevano
le signore dei bei tempi andati. Un lucchetto blocca anche il
corsetto. Sul capo la detenuta calza un aderente cappuccio, proprio
una seconda pelle, che lascia sporgere solo occhi naso e bocca. I
lunghi guanti completano lo scafandro. Tra le cosce di Fatima un
sacchetto trasparente raccoglierà l’orina, permettendole di
lavorare senza interruzioni per le necessità fisiologiche.
Fatima, inizia a sentirsi
fastidiosamente bagnata dal proprio sudore anche stando ferma. La
sorvegliante porta Fatima in un garage e le mostra quale sarà il suo
lavoro odierno: trascinare un calesse. Infatti Madame Rocio ha deciso
di approfittare della detenuta da domare per farsi un giro della
proprietà. Fatima viene collegata al calesse da robuste cinghie che
premono fastidiosamente, rendendo ancora più insopportabile
l’accoppiata tuta e corsetto. Tra le labbra della detenuta viene
posto un morso, tenuto in posizione da catenelle. Al morso sono
collegate delle briglie che permetteranno a Madame di dirigere la
“puledrina” senza dover usare la voce. E, al comando ricevuto
tramite le briglie, rinforzato da uno schiocco della immancabile
frusta, Fatima inizia a camminare, ma i colpi e le incitazioni
continuano, fino a che non si mette a trottare.. Grazie alla
leggerezza del calesse ed alle scorrevoli ruote la detenuta non fa un
grande sforzo. Ma appena uscite dal triplo recinto le cose cambiano
radicalmente. Fatima si trova a dover trascinare il carrello sul
terreno non battuto. Il trotto si trasforma in arrancare. Inoltre la
tuta nera, in pieno sole, porta la temperatura all’interno intorno
ai 50 gradi. La giovane è sull’orlo del collasso, ma, ben sapendo
che se rallenta saranno cocenti colpi di frustino, Fatima continua
nel suo faticosissimo trotto, il rumore del proprio respiro e dei
battiti furiosi del cuore sono il suo accompagnamento musicale, altro
che auricolari ed mp3, come quando si allenava in università!.
Nel frattempo mi duole la schiena per
il continuo lavorare inginocchiata ma mi considero molto molto
fortunata di poter lavorare nell’ombra dell’edificio e
soprattutto senza l’allucinante divisa da punizione.
La latrina
Le ore passano lente, tra una fatica e
l’altra. La vescica inizia a darmi noia ma non so ancora che
“etichetta” bisogni seguire. La sorvegliante, vedendomi tenere le
cosce strette capisce il problema e mi trascina fino ad una bassa
costruzione fuori dall’edificio. Ancora prima di arrivarci capisco
il motivo della collocazione: uno spaventoso odore di orina
putrefatta mi sconvolge. Infatti niente comodi water: è una
realizzazione minimalista, un canaletto raccoglie i liquidi e li
porta in una fossa esterna. Per quanto riguarda il resto, dietro al
canaletto un foro comunica con la fossa biologica, da cui si alza il
resto dei miasmi. State sicure che nessuna si attarda in questo
porcile!
Dopo tre lunghe ore torna il calesse di
Madame. Lo spauracchio barcollante nella tuta nera è la povera
Fatima, ormai all’estremo delle forze. La ristrettezza del corsetto
la obbliga a respirare a bocca aperta. Questo, unito al fatto del
morso, le ha coperto la bocca di bava schiumosa, proprio come un
pony. Madame Rocio ferma il calesse e si accerta delle condizioni
del pony, il sacchetto urinario della tuta è ancora sconsolatamente
vuoto. La detenuta ha dissipato in sudore tutti i liquidi. Madame,
graziosamente le chiede se ha sete e le indica l’immonda vasca con
le pipì ormai rancide delle compagne. La povera principessa volta,
nauseata la testa. Madame è contenta, le piace questa puledrina da
domare.
Con qualche altra ora di traino e
riuscirà a spezzarla. Madame si concede il pranzo ed un paio di ore
di “siesta”, la povera puledra, ancora legata alle stanghe del
calesse si accascia per terra, riprendendo un po’ di respiro e di
forze. Per ordine espresso di Madame niente cibo o liquidi per la
puledra! Ma è già ora di continuare, Madame ha terminato la siesta,
così il calessino di Madame esce, nel calore da fornace del
pomeriggio. Madame, conscia che sta spingendo la schiava fino ai
limiti e che potrebbe crollare svenuta in ogni momento, si limita ad
inanellare giri e giri all’interno del recinto. Presto la puledra
cade, semisvenuta. Due detenute sono incaricate di riportarla alla
latrina. Qui le viene tolto il cappuccio della tuta. Madame osserva
con compiacimento la detenuta: le guance della malcapitata sono
paonazze, anzi, violacee per il gran caldo, ottimo contrasto con la
pallidissima testa rapata. Ora è giunto il momento della verità. Ad
un suo cenno, una sorvegliante immerge una gavetta nella immonda
vasca delle pipì e la porge a Fatima. La faccia della poveretta
riflette il dilemma a cui è sottoposta, morire di sete, durante un
altro giro di traino o annullare il proprio orgoglio e bere il
nauseante liquido. La poveretta si ricorda ancora quando, in
università, al racconto di una spedizione rimasta senza acqua, i
cui componenti erano sopravvissuti bevendo la propria orina, aveva
affermato, sorridendo, che era meglio la morte ad una simile
indegnità. ED ORA SI TRATTA DELLE PIPI’ DI ALTRE DETENUTE. Ma lo
sguardo che fino a quel momento era ancora altero e fissava le
aguzzine, si abbassa e guarda per terra. La detenuta avvicina le
labbra alla gamella. Inizia a bere, cercando di ignorare il gusto..
Dalla faccia schifata delle detenuta si capisce quale sia il sapore
del liquido, surriscaldato dal sole. Uno sguardo supplichevole è
diretto a Madame, ma Madame su queste cose non transige,
l’umiliazione deve essere completa. E così la povera Fatima è
costretta a bersi tutta la gamella. A tratti la si vede chiudere gli
occhi e tremare, evidentemente cerca di mandare indietro i conati di
vomito.
E per la povera Fatima il destino ha in
serbo anche altro, Madame Rocio si sente eccitata nel dominare questa
giovane, cercherà di arruolarla tra le proprie schiave personali.
Sarebbe un successone piegare la giovane ai propri voleri ed un
ottimo affare, a liberazione avvenuta, poter vendere alla suocera
foto compromettenti della nuora che si umilia come schiava lesbica.
Vostra detenuta nadia.
(2- continua)
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Serva Nadia
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(maid & artist)
monikarubbermaid@gmail.com
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