Nobili Signore serva sudiciona,
proseguo nel racconto della prigionia
al Centro.
Al lavoro!
Come nuove arrivate ci è stato
concesso un periodo di ambientamento, questo è il discorso che ci la
comandante delle sorveglianti. Da domani cominceremo a lavorare.
Dovete sapere, infatti che il Centro prevede il duro lavoro come
parte principale della pena. Svariati sono i lavori a cui siamo
obbligate, tra i più faticosi abbiamo il lavoro alla salina e
l’approvvigionamento d’acqua. Dovete sapere che il deserto su cui
si trova il Centro, anticamente era il fondo dell’oceano. Durante
le ere geologiche l’acqua si asciugò gradatamente, lasciando uno
strato di un metro di pregiato sale, molto apprezzato dai cuochi di
grido. Di seguito un vulcano coprì di lava e lapilli il prezioso
strato di sale. Sarebbe economicamente poco conveniente sfruttare
questo tipo di salina, a meno di avere della manodopera gratuita. E
madame Rocio ne ha in sovrabbondanza!. Infatti noi detenute dobbiamo
lavorare in una miniera a cielo aperto, appunto “la salina”. Il
lavoro della salina è tra i peggiori: si lavora in pieno sole, con
temperature da delirio. Inoltre, essendo il deserto una biosfera
protetta, non sono permessi mezzi a motore, tutto il lavoro deve
essere eseguito a mano da varie squadre di detenute che si alternano.
Il lavoro più pesante, di scavo, viene eseguito nottetempo, il
trasporto del sale scavato viene invece eseguito in pieno sole. I
lavori vengono eseguiti da gruppi di due detenute, incatenate tra di
loro. Va da sé che i due gruppi di schiave-detenute siano stati
soprannominati “le talpe” e “le mule”, a seconda del tipo di
lavoro.
Dimenticavo di dire che il lavoro è
diversificato a seconda della pena, io per esempio sono tra le
fortunate condannate ad una pena più breve e meno dura. Nel mio caso
il lavoro di scavo viene eseguito con una zappa, sul terreno già
scavato dal gruppo delle “irrecuperabili”, le detenute condannate
a dure ed interminabili pene, tra le quali l’immancabile perra. La
stessa cosa accade anche nel gruppo delle mule: durante questa corvè
io caricherò e guiderò il carretto contenente il sale scavato e la
perra dovrà trascinare a viva forza il carico lungo una
interminabile salita per uscire dalla salina.
E siamo al primo giorno di lavoro.
Dobbiamo indossare la puzzolente divisa di fatica. Poiché abbiamo la
fortuna di poter scavare di notte, possiamo fare a meno di indossare
il cappuccio e le guardiane tollerano che la divisa non sia ben
abbottonata. Per iniziare dobbiamo rimuovere con badili e picconi lo
strato di lava, che viene ammucchiato da parte. La perra e le altre
sventurate devono armarsi di picconi e mazze ed iniziare a rompere il
durissimo strato superficiale di lava. Ben presto le loro divise sono
macchiate di sudore che si irradia da sotto le ascelle fino ad
inzuppare più o meno tutta la divisa. Non sono concessi guanti da
lavoro e ben presto le loro mani sono arrossate e piene di vesciche,
fino a quando non si formeranno degli spessi calli. Ho occasione di
vedere più volte la perra, mentre piccona alla disperata,
sorvegliata a vista da una guardiana che le impedisce di battere la
fiacca. Le guance rosse, respira a bocca aperta, cosa che le ha
seccato la gola, tanto da non riuscire più a parlare, ma emette un
“ahrrr” quando viene colpita dallo scudiscio della guardiana. Dal
canto mio non è che si vada meglio, la divisa è molto pesante e
sono in un bagno di sudore, la zappa non sarà pesante quanto il
piccone ma le mani fanno malissimo, anche perché l’ambiante salino
in cui ci troviamo è proprio il meno adatto per le vesciche che si
stanno formando. Ben presto mi sento morire di sete, mi guardo
attorno, ma nessuna pausa ci viene concessa, tanto meno vedo borracce
od altro.
Poi dobbiamo armarci di carriole e
trasportare il frutto del nostro sudore dove detenute più fortunate
sono addette all’insacchettamento del prezioso sale. Inutile dire
che anche con la sola divisa di fatica siamo in un bagno di sudore.
Sudore che ci sottrae preziosi liquidi, siamo tutte molto
disidratate, al punto che le nostre gole sono asciutte e parliamo a
fatica. Daremmo tutte un dito per poter avere una brocca di acqua,
fosse pure calda! Ed invece la regola è la solita, il liquido
necessario ci viene fornito dalla insipida sbobba che divoriamo e
devo dire che lecchiamo a fondo le gavette, neanche una goccia del
prezioso liquido deve andare persa.
L’Ambulatorio
Ben presto veniamo a sapere che al
Centro non conviene darsi malate: Madame Rocio è laureata in
medicina e si occupa personalmente della salute delle detenute. E una
delle perversioni di Madame è proprio sado-medica, si è fatta
costruire un grande ambulatorio medico, dotato delle più moderne
attrezzature. E, direttamente nell’ambulatorio danno alcune celle,
dove vengono rinchiuse le detenute bisognose di cure e le vittime che
Madame decide di sottoporre alle proprie voglie.
Visitiamo una delle cellette: un letto
di quelli da ospedale, con la testiera di ferro. Robuste cinghie di
cuoio collegabili a catene di diversa lunghezza, permettono di
bloccare la “paziente”. La cella è sempre fastidiosamente
illuminata. Di fianco al letto un capace “secchio igienico”,
quando Madame non decide di fare indossare alla propria vittima le
umilianti mutande impermeabili con relativo pannolone.
Ma torniamo in ambulatorio, il mitico
ambiente che atterrisce le detenute. Due lettini ginecologici,
regolabili in tutte le posizioni, una poltrona di contenzione simile
alla poltrona di un dentista ed attorno moltissima strumentazione. Il
resto dell’attrezzatura è ben ordinato in grandi armadi a vetri.
Madame non ha risparmiato di certo in questo suo hobby. Ma il clou
dell’ambulatorio è che una parete dà direttamente sul salone dove
noi detenute consumiamo i pasti. Un sistema automatico permette di
scoprire un grande finestrone, per realizzare quello che le
sorveglianti chiamano il “teatrino”, l’ultimo grado della
umiliazione, dove tutte possono vedere cosa viene fatto alla loro
compagna. Ovviamente un sistema di altoparlanti trasmette i lamenti.
Spesso i lamenti di una punita fanno da lugubre colonna sonora ai
nostri pasti.
E non si è certo lesinato sulle
attrezzature: apribocca da dentista, divaricatori, speculum, sonde,
clisteri, addirittura l’attrezzatura per gastroscopie e
colonscopie. Vi assicuro che la sola prospettiva di venire convocata
in ambulatorio mi fa venire i brividi nonostante il caldo
asfissiante.
I clisteri
Al Centro tutte le detenute ricevono
giornalmente di routine uno o più clisteri che ci mantengono con le
pance doloranti, ma ci permettono di sopravvivere alla mancanza
d’acqua. La quantità di acqua di questi clisteri formato
“famiglia” varia tra i 2 ed i 3 litri, secondo le capricciose
prescrizioni di Madame. Comunque dolorosi ed odiati dalle detenute,
sono clisteri di idratazione, da trattenere il più a lungo possibile
per reidratare i nostri corpi permanentemente assetati. L’apparecchio
è sempre posto ben in alto e la somministrazione avviene sempre
velocemente, per cui creano dolori e crampi. E non pensate sia
semplice trattenere il liquido sufficientemente a lungo, se qualcuna
non riesce, cioè quasi sempre, viene applicato “el tapon”, un
grosso tappo anale, molto fastidioso. E’normale vedere le detenute
camminare a passettini, con le natiche ben strette e faticare a
piegarsi durante il lavoro, appunto per la pancia gonfia, dopo il
quotidiano clistere.
Ma esistono ben altri clisteri,
clisteri di punizione, questi amministrati personalmente da Madame,
addirittura a volte l’esecuzione viene mostrata a tutte le detenute
nel “teatrino”, in modo che la vergogna della punita sia massima
e che l’accaduto serva da monito per tutte le altre.
Sono volutamente breve sull’argomento
clistere perchè ve ne parlerò diffusamente in numerosi episodi,
come il seguente.
L’iniziazione
E’ una delle solite mattine al
Centro. Madame Rocio si reca in ufficio ed automaticamente dà un
occhiata alle numerose mail ricevute dalla sua rete di amiche, tutte
persone importanti e dominanti. Resta sorpresa da una mail firmata
Conchita, mescolata al fastidioso onnipresente spam. Un click e legge
la mail della sua amica del cuore della gioventù trascorsa in
collegio. La sua amica, ora dirigente di una banca, le scrive
annunciandole l’arrivo di una nuova schiava da plasmare: una
giovane funzionaria che ha causato un grosso danno che le potrebbe
costare il disonore ed anni di prigione. La giovane ha chiesto pietà
ed ha accettato di sottoporsi ad un periodo di rigorosa disciplina,
firmando altresì una completa confessione che le impedirà qualsiasi
forma di ribellione o ritorsione. “Ed è così che ho pensato a te,
mio amorrr. Ho avuto modo di visitare il tuo “Centro de detencion
Maxima” l’ultima volta che ci siamo incontrate e mi è piaciuto
moltissimo. Se sei d’accordo ti invio sicuramente questa
giuggiolona, ti allego le sue risposte al questionario che mi avevi
inviato, vita sessuale praticamente assente, nega di masturbarsi, mai
ricevuto un clistere eccetera. Vedi di divertirti a domarla e di
farmene una buona schiava.”
Madame rilegge incredula ed eccitata la
mail. Poi chiama la comandante delle guardiane, in modo che organizzi
il viaggio di trasferimento “per una cerbiatta”. Ciò significa
che la nuova detenuta dovrà sì camminare per tre giorni, ma le
saranno risparmiate buona parte delle percosse e le verrà data
doppia razione di acqua, Un trattamento di grande favore. Passa
qualche giorno e la giovane detenuta in questione giunge al Centro.
Viene assegnata al blocco delle detenute recuperabili, quello per
inciso in cui è rinchiusa anche la narratrice, anziché al blocco di
“maxima pena” dove scontano condanne più o meno a vita le
“irrecuperabili”, tra cui la perra.
Ma torniamo alla nostra giovane, di
nome Zinia. Sono passati alcuni giorni ma non si è ancora
ambientata, spaventata dall’inferno in cui si è trovata proiettata
piange e si dispera e quasi non mangia. La cosa non sfugge a Madame,
la pollastrella è cotta a puntino, si dice. E ad un ordine di Madame
la giovane viene accompagnata nell’ambulatorio. Alla povera Zinia è
stata fatta indossare, per eccesso di zelo delle guardie, la divisa
di punizione ed è stata lasciata una mezz’ora al sole. Le pare di
essersi liquefatta, sente rivoli di sudore su tutto il corpo. Il
corsetto le impedisce di respirare liberamente.
Ed improvvisamente alla detenuta
appare Madame, in una mise aderente di latex candido. Contrariamente
all’esterno negli ambulatori e negli appartamenti di Madame un
perfetto sistema di condizionamento mantiene temperatura ed umidità
ai valori ideali.
Madame Rocio ha un sorriso, vedendo le
pietose condizioni della futura schiava. Ordina alla propria
assistente preferita di spogliare la detenuta Zinia. La poveretta è
in condizioni igieniche, diciamo, pessime. Sono passati ormai otto
giorni dall’inizio del suo incubo e dall’ultima doccia. Le viene
ordinato di restare in piedi, con gambe e braccia lontane dal corpo.
Madame prende alcune misure. Poi indica con l’indice alla detenuta
una porta. All’interno una grande stanza da bagno. La giovane si
illude che le permettano di fare una doccia, così riuscirebbe, a
dirigersi il getto sulla bocca aperta e calmare la terribile sete che
la attanaglia. Ma niente di tutto questo, Madame le mostra un bidet,
importato appositamente dall’Italia, e le ordina di sedersi. Dopo
di che Madame si arma di sapone e spugna e la sottopone ad un
delicato quanto imbarazzante lavaggio intimo. Ancor più imbarazzante
perché Madame insiste sulle parti …. sensibili ed un ditino
malizioso di Madame si infila anche nel buchetto. Zinia è in
confusione, non lo confesserebbe mai, ma ovviamente sa trarre
piacere dal proprio corpo e ne approfitta spesso..
Madame porge alla detenuta un panno,
perché si asciughi e la fa salire su di un lettino. Sottopone poi la
detenuta ad una accurata visita medica. Una volta stabilito che la
giovane è in grado di sopportare senza problemi il durissimo regime
del Centro, Madame passa al proprio piano.
Zinia sente le mani di Madame che le
sfiorano e sollecitano i capezzoli, fino a farli rizzare. E’ poi la
volta della patatina, Zinia si morde le labbra per non mettersi a
mugolare, ma il fatto non sfugge a quella marpiona di Madame. Poi si
passa al ventre, mani esperte premono e saggiano la pancia abbastanza
gonfia, poiché la nuova dieta, unita alla privazione di buona parte
dei liquidi, hanno bloccato …. le cose. La giovane, presagendo
guai, cerca di negare il problema, ma un dito …. invadente di
madame ritorna col guanto macchiato, rivelando la vergognosa realtà.
Madame, ovviamente ha la soluzione ed è ben decisa a sfruttare la
situazione per le proprie mire.
Una piantana spunta da un angolo, su di
questa viene agganciata una sacca semirigida di silicone
semitrasparente. Si tratta di una sacca piccola, solo due litri. Per
questa prima volta Madame sceglie un blando infuso di camomilla
tiepida. Alla fine del tubo Madame installa la sonda più piccola
della propria collezione. Si tratta di una sonda ospedaliera, di
gomma verde, stelo grosso come un dito. L’estremità ingrossata
della dimensione di una grossa oliva ascolana porta numerosi fori.
Lo stelo non è liscio ma ha un profilo ondulato, alternando punti
più larghi a punti più sottili, in modo che lo sfintere possa fare
presa, senza che la cannula penda a sfilarsi. E per iniziare, una
buona lubrificata a sonda e buchetto, mettono ancora più in ansia la
giovane. Madame verifica maternamente la temperatura della sacca,
poggiandovi una guancia …. perfetto piacevolmente calda. Ora Madame
regola l’altezza in modo che la sacca sia abbastanza bassa ed
afferra la sonda. Invita la giovane a rilassarsi e appoggia la punta
al buchetto. La reazione involontaria è di stringere ancora di più,
ma Madame ha deciso di non essere brutale, questa prima volta. Parla
con dolcezza alla ragazza e mantiene una leggera pressione su
buchetto. Pia piano lo sfintere si rilascia, permettendo l’ingresso
del misterioso oggetto. Zinia sente l’invasione ed arrossisce
completamente, Madame nota che è arrossita anche la “pelata”. Ma
è il momento di cominciare, Madame apre lentamente il rubinetto.
Zinia sente subito l’invasione dell’acqua, la temperatura è
leggermente più alta di quella del corpo ed è …. stranamente
piacevole. Convinta dalla sollecitudine di Madame la ragazza si
rilassa, sentendo il flusso del liquido caldo che la invade. Passa
qualche minuto di piacevole languore, ma ben presto Zinia inizia a
sentire voglia di andare al bagno. La voglia diventa ben presto una
urgenza e la povera giovane si trova con la pancia che le impone una
irrefrenabile voglia di spingere e scaricarsi. Ovviamente il peso
delle convenzioni e l’educazione le impongono di ignorare questo
stimolo, soprattutto in presenza di altre persone. La ragazza ormai
suda vistosamente e Madame nota che i muscoli delle natiche sono
stretti spasmodicamente. Madame ferma l’acqua e chiede alla ragazza
cosa la turbi, provocando un altro accesso di rossore e una risposta
balbettante ed incomprensibile. Madame decide di abbreviare i tempi,
le mani esperte riprendono a premere, delicatamente ma profondamente
la pancia. Zinia è ormai allo stremo, le dita della Signora
penetrano la barriera opposta dai suoi muscoli ventrali, scatenando
brontolii e dolori. Rendendosi conto che la ragazza è allo stremo,
Madame Rocio ordina con un cenno alla sorvegliante di sparire
immediatamente. Restate sole inizia a tormentare la ragazza per
provocarne il crollo. “Cosa c’è per agitarsi tanto?” chiede.
“Signora, avrei, avrei bisogno di di…” “Di cosa, rispondi
subito oppure riapro l’acqua e continuiamo”, Zinia ormai non ha
più nessuna risorsa per difendere il pudore e risponde: “Devo
cagareeeeee subito, per favore, SCOPPIO!!!”Madame apre le cinghie
che trattenevano la ragazza sul lettino, le ordina di stringere, che
non si faccia sfuggire l’acqua lì in ambulatorio. Sfila la cannula
a fatica, tanto le chiappe sono spasmodicamente strette. Indica la
stanza da bagno alla detenuta che si affretta, piegata in due dal
dolore. Zinia si fionda sul water ma si accorge che la Signora la ha
seguita nel bagno. “per pietà Signora, non voglio, non posso…….”,
“Siamo solo noi due, puoi farlo, lasciati andare e spingi,
altrimenti ti schiaccio la pancia”, “No Signora, per pietà,
aspetti, mi concentro”. Ed arrossendo la detenuta rilascia un
torrente d’acqua. Ovviamente non è solo acqua e ben presto tra
scorregge e scrosci l’aria si fa irrespirabile. Ma Madame Rocio
pare non essere disturbata dall’odore. Dopo un buon quarto d’ ora
Madame chiede alla detenuta “hai finito?”, al cenno di assenso
della ragazza Madame la fa ripulire, alzare e la riconduce al
lettino. Riempie nuovamente la sacca, sotto lo sguardo preoccupato di
Zinia, e lubrifica nuovamente il buchetto. “Ora non preoccuparti,
sei abbastanza vuota, se fai la brava non ti farò male” dice alla
giovane. Ed è di parola, Zinia sente il liquido caldo che entra, una
sensazione di pieno niente affatto dolorosa accompagna la lenta
instillazione. Madame palpa, in maniera esperta il ventre, la
detenuta contiene ora un litro e mezzo. Ora di iniziarla al piacere
della schiavitù, chiude il rubinetto ed estrae la sonda. “Adesso
ti metto un piccolo tapon” dice Madame. Un accessorio piriforme, di
colore bianco, ben lubrificato è pronto. Una subitanea sensazione di
dilatazione dice alla giovane che il “tapon” è entrato.
Sollecitata dalle parole di Madame si rilassa, ora le dita abili di
Madame le regalano un orgasmo intensissimo. E nell’animo di Zinia
spunta il desiderio di ricambiare Madame dell’orgasmo che le ha
donato. Chiede a madame di liberarla e si inginocchia di fronte a
lei, con la pancia ancora gonfia del meraviglioso liquido. Madame si
toglie le mutande in latex ed accetta l’omaggio della inesperta
lingua della giovane, guidandone l’inesperienza fino a regalarsi un
orgasmo galattico. Ma non è finita, ora la giovane deve imparare la
sottomissione, le mani di Madame schiacciano la pancia della schiava,
causandole, per tutto ringraziamento, nuovi dolori. E quando
permetterà nuovamente alla schiava di scaricarsi la ragazza si
umilierà leccando i piedi di Madame. Una nuova schiava è entrata
nella scuderia di Madame
Vostra detenuta nadia.
(3- continua)