la vita prosegue e, tra una lezione e
l’altra decido di andare a controllare la perra: non sia mai che,
affidata ad un'altra sorvegliante, prenda cattive abitudini. Arrivo a
metà giornata. Attendo un attimo e vedo arrivare un grande carrello
a ruote, carico di piatti. Il caldo, sotto al portico che ripara i
forni di cottura, è allucinante. Ma per le serve non esistono
versioni “leggere” della divisa di fatica.
Il “saio” marrone, descritto in
precedenza, è scolorito e tutto a macchie: si vedono i punti in
cui, a contatto della pelle è inzuppato di sudore, altre parti,
invece sono state rapidamente asciugate dall’intenso calore dei
forni e sono cosparse da impalpabili cristalli bianchi di sale. Ai
piedi la perra porta rudimentali e rumorosi zoccoli di legno, gli
stessi usati anticamente dai braccianti agricoli. Per ripararsi dal
calore irradiato dal forno, la perra deve indossare due paia di
grembiuli: uno di spessa gomma ed uno luccicante ch sembra di domo
pack, all’esterno. Le lunghe maniche del saio riparano gli
avambracci e uno spesso paio di lunghi guanti da lavoro di cuoio
impedisce che le mani si brucino. I capelli della perra sono
ricoperti e riparati da un fazzolettone dello stesso materiale del
saio, che le copre testa e collo e che, quando si avvicina al forno,
viene tirato anche a coprire la faccia, un po’ come il copricapo
delle tribù del sahara. La perra, ancora dolorante per il parto,
muove il carrello con grande circospezione, memore del disastro
combinato. Una volta portato al suo posto il carrello, mi avvicino e
scambio qualche parola con la sorvegliante e chiedo come passi la
giornata la perra. Sveglia, come per tutte le altre detenute alle 6.
Le detenute debbono lasciare i propri giacigli in perfetto ordine
(non per niente questa Istituzione ha un lontano passato di convento
di punizione di un ordine monastico militare). Alle 6.30 tutte le
detenute devono essere pronte, una piccola squadra sull’attenti di
fronte alla Sorvegliante capo. Contemporaneamente due sorveglianti
verificano che i giacigli siano stati lasciati in ordine e
perquisiscono rapidamente le spoglie celle. Al termine di questa
ispezione il primo pasto della giornata: del tè, talmente lungo da
poter essere definito acqua calda sporca, ovviamente niente zucchero.
Un pezzo di pane secco da inzuppare nel liquido. Alle 6.45 le
detenute devono raggiungere i propri posti di lavoro dove, nel
frattempo, dopo una abbondante colazione, arrivano le sorveglianti.
Ma veniamo alla perra, come primo lavoro della giornata le tocca
quello di aiutante fuochista. Infatti assieme ad un'altra detenuta,
la fuochista, accende l’enorme forno a carbone, che dovrà
bruciare per un ora prima di essere caldo a sufficienza per poter
cuocere i piatti. Ma l’ora non passa inoperosa, due grossi mantici,
azionati con un sistema di leve, devono ininterrottamente soffiare
aria, per scaldare la fornace. Il lavoro dei mantici, in aggiunta
allo spalare il carbone, occuperà poi per tutta la giornata la
detenuta fuochista. Un lavoro abbastanza pesante. Come pesante è il
lavoro delle due schiave addette allo scavo della compatta e
pesantissima argilla. Molto meno pesante è la “formatura” degli
oggetti, lavoro che però richiede doti artigianali non comuni e che,
comunque, è svolto da vecchie schiave che in anni di espiazione
hanno meritato questo privilegio. Ma veniamo a quello che la perra,
nella sua dabbenaggine ha creduto un “lavoretto”. Riceve gli
oggetti di terracotta, ancora relativamente teneri, appoggiati su
lunghe assi. Deve sollevare le assi ed infilarle su appositi
alloggiamenti nella parte bassa del forno. Poi, a metà cottura, deve
riaprire il forno e spostare gli oggetti nella parte alta. Appunto,
la perra non aveva tenuto conto di questo fatto, il calore del forno,
unito al riverbero dei piatti, rende necessario l’abbigliamento
protettivo che ha però la particolarità di far sudare moltissimo e
poichè la juta bagnata di sudore prude in maniera infernale più che
di un abbigliamento protettivo potremmo parlare di un abbigliamento
penitenziale. Una volta ogni ora alla perra viene concessa una brocca
da mezzo litro di acqua. Deve berla tutta d’un fiato, di fronte
alla sorvegliante. Dato il gran sudare non ha gran bisogno di
orinare, buon per lei perché sono previste solo tre pause bagno,
mattina, mezzodì e sera. Altri permessi non vengono concessi e le
detenute sono costrette a pisciarsi addosso mentre lavorano. Da qui
il pessimo odore che le circonda. Ma questo è anche un istituto
modello, tutte le sere le detenute devono evacuare, con l’aiuto di
un buon clistere saponato da 3 litri, ritenuto per una buona
mezz’ora. Ogni due giorni, alla sera, le detenute subiscono il
“lavaggio”. Una sorvegliante impugna un tubo di acqua, dotato di
un potente getto. Le detenute avanzano fino ad una piattaforma di
cemento e si devono mettere nella posizione dell’Uomo di Vitruvio.
Il getto, sapientemente diretto lava loro e le divise dalla testa ai
piedi. Particolare attenzione viene posta all’igiene intima, la
detenuta deve rialzare il saio punitivo, in modo da mettere i mostra
le mutande. La sorvegliante fa una prima passata “esterna” con il
getto, poi tira un po’ la cintura ed infila la punta da cui parte
il getto. L’operazione viene ripetuta più volte davanti e dietro.
Una volta lavate le detenute restano per un quarto d’ora a
rabbrividire e sgocciolare, visto che il lavaggio viene eseguito in
tutte le stagioni. Avevamo visto la prima colazione delle detenute,
vediamo il resto. A mezza giornata, anzi, alle ore 14, le detenute
hanno una pausa totale di 30 minuti, in cui possono utilizzare il
bagno, di cui parleremo diffusamente in seguito, e possono consumare
un pasto, questa volta di zuppa un po’ più nutriente, visto che
nell’acqua sono state cotte per lunghe ore le ossa scartate da una
vicina macelleria. Nel pentolone di zuppa vengono anche rotte alcune
uova, ed aggiunto sale, peperoncino, aglio, olio e molto pane secco.
Il tutto cotto per ore e rimescolato a lungo, da la “sopa bopa”,
una nutriente zuppa che ha nutrito generazioni di braccianti. Dopo
una giornata di lavoro che si protrae fino alle 20 in inverno ed alle
21 in estate, le detenute possono consumare il pasto serale. Alla
sera, però è bene tenere leggere le detenute, se non hanno ricevuto
punizioni, il che automaticamente comporta il digiuno serale, le
detenute ricevono una scodella di “sopa magra”, su cui mi sono
già dilungata. Nei giorni di “lavaggio” è tradizione di dare la
sopa magra ben calda ed in doppia razione, per compensare il freddo
patito dalle detenute nei loro abiti zuppi.
Ma parliamo del WC per le detenute, in
una istituzione spartana come questa i WC sono collettivi, una
casetta di cemento con 4 “inodoro turco”, nessuna separazione tra
i vari “posti”. E dopo l’uso le detenute devono lavare a
secchiate di acqua la toilette. Come carta igienica sono a
disposizione fogli di giornale attaccati ad un chiodo.
Mentre parlo con la Sorvegliante guardo
la perra lavorare, e mi accorgo che sul carrello trasportato mancano
qua e là dei piatti. Indago un po’ e scopro che la furbona, per
evitare le nerbate dovutele per ogni piatto rotto, ha fatto la
pensata di buttare i piatti rotti nel forno.
Intimamente contenta di aver nuovamente
individuata la furbetta, segnalo prontamente, come mio preciso
dovere, la cosa alla Sorvegliante di turno ed alla Badessa.
Quest’ultima, mi incarica di ideare ed eseguire la punizione per la
perra. Chiedo di poter riflettere un attimo, la perra, invecchiata e
dimagrita , ha ricevuto innumerevoli nerbate ma se la si guarda
dritta negli occhi si intuisce ancora un non so che di sfida, le
nerbate servono solo a trasformarle la pelle del culo in cuoio…….
Poi penso alla prima punizione a cui ho
qui assistito qui all’Istituto: la torre. Illustro la mia idea alla
Badessa, incontro la sua approvazione ma, mi dice, sei tu la
responsabile della preparazione e della esecuzione della punizione.
Sarà come una specie di “trabajo de clase”.
Spiego cosa ho pensato di organizzare:
la punizione della torre mi è sembrata interessante, legare la perra
con la testa nella vaschetta sarebbe un mio desiderio. Però ricordo
bene che, data l’idratazione forzata, quello che la serva alla
gogna “passava” alla serva sottostante, più che pipì pareva
acqua. E così ho proposto di mettere neòl piano superiore uno
sgabello la cui seduta è sostituita da una bella tradizionale asse
da WC. Così le detenute, alla mattina quando la pipì è più
concentrata, potranno per una volta pisciare comodamente. Detto
fatto, recupero da un bagno in disuso l’asse e con qualche chiodo
ben messo realizzo il manufatto. Al mattino successivo, ben prima
della sveglia, faccio alzare la perra e la trascino, ben ammanettata,
fino al di sotto della “torre”. Rinchiudo caviglie e polsi nelle
relative assi della gogna e lascio la perra a meditare su cosa la
aspetta, con la testa appoggiata all’interno della maleodorante
vaschetta ancora vuota. Ben presto arrivano le prime detenute per
fare pipì, sorveglio attenta l’operazione, spostando mano a mano,
con pazienza, la posizione dell’asse, in modo che i caldi e
maleodoranti getti, non solo riempiano la vaschetta ma colpiscano la
perra in faccia. Infatti è costretta a stare con occhi e bocca ben
chiusi. Il livello del liquido sale inesorabile, la perra si sforza
di tenere sollevata il più possibile la testa, cercando di sottrarsi
al suo castigo. Allora tolgo la cinta di cuoio della mia divisa e la
allaccio, in modo da limitarle i movimenti della testa. Il liquido
avanza inesorabile e ben presto arriva alle labbra. Ma la perra è un
osso duro, ha le vene del collo e della fronte gonfie per lo sforzo e
riesce ancora per alcuni minuti a respirare liberamente. Ma alla
fine deve cedere. La testa sprofonda nel liquido e dalla bocca escono
bolle d’aria, mentre il collo mostra rapide deglutizioni. Poiché
intendo far durare il più possibile la punizione, regolo
attentamente il numero di detenute in coda al perra-WC, voglio che la
perra abbia modo di assaporare a fondo ….. l’elisir, con pause in
cuoi riprende fiato, non voglio che sia semi-svenuta, perdendosi così
l’aroma.
Come promesso la Badessa viene a
verificare il mio …. compito in classe. Apprezza sia la comodità
dell’asse che la cinghia che rende difficile il sottrarsi in
qualche modo alla punizione. Passa una buona mezz’ora. Ormai lo
stomaco della perra comincia ad apparire gonfio, dopo che sette
detenute hanno vuotato la vescica. Una larga chiazza di umido macchia
il saio della perra all’altezza dell’inguine, questa incontinente
si è pisciata nuovamente addosso. Altre tre detenute pisciano ed è
ora di terminare la punizione. Seguita dalla Badessa mi reco sotto
alla Torre per rimettere in piedi la perra. Pare veramente provata,
con capelli maleodoranti e schiumosi incollati alla testa, pare un
gatto cvaduto in uno stagno. E qui accade un guaio, un grosso guaio.
La maledetta, ne ha architettata un'altra. Presa dalla rimozione
della cinghia e della gogne, non mi accorgo che la perra tiene
chiusa la bocca ed ha le gote gonfie. La rimetto in piedi e, la
osservo. E la perra dà seguito al suo criminoso piano: ha tenuto in
bocca una bella quantità di orina, riuscendo a respirare col naso.
Come sono di fronte al lei me la sputa, anzi, per meglio dire, me la
spruzza in faccia. Ma la cretina non ha fatto i conti con la mia
gioventù di “ragazza di strada”, intuisco qualcosa e mi abbasso
prontamente, solo una piccola parte del getto mi colpisce, la maggior
parte colpisce la Badessa!
Sono raggelata, prontamente prendo un
fazzoletto, non troppo di bucato, aihmè, e faccio il gesto di
asciugare la Badessa. Questa è inviperita, mi punta contro l’indice
e mi dice: TU sei la responsabile dell’accaduto, quanto alla
detenuta le farò rimpiangere di essere nata, ora prendo un bagno,
poi presentati con la detenuta nel mio studio per ascoltare le vostre
sentenze!
Vostra indegna sorvegliante Nadia
(90- continua)
Nessun commento:
Posta un commento