mi si permetta di fare un salto nel mio
racconto.
Tralascio le avventure occorse a me ed
alla perra dalla condanna alla deportazione, fino all’arrivo nel
“Centro de Detencion”, magari avrò modo di ritornarci in
seguito.
Il viaggiatore che percorresse la
statale 45, in Messico e decidesse di mettere a rischio la propria
vita, sfidando così il cartello posto all’interno del SUV a
noleggio, che dice di non abbandonare la strada per nessun motivo,
avrebbe la possibilità di seguire una vecchia pista dei nativi,
usata poi dai cercatori d’oro. Questa pista si addentra in una zona
riservata la “Zona del silencio”, una misteriosa zona desertica
in cui per “Ragioni biologiche ed ambientali” è scoraggiato, se
non addirittura vietato il transito. Questo misterioso divieto, unito
alla credenza locale che la zona desertica sia l’omologo terrestre
del triangolo delle Bermude e dell “Area 51”, rende il numero di
viaggiatori tendente a zero. Ma ben presto, se il nostro viaggiatore
fosse un incosciente, scoprirebbe che neanche il potente mezzo
meccanico può proseguire, non resta che andare a piedi, seguendo un
sentiero vecchio di migliaia di anni, che si inerpica sulle varie
“Sierras” e segue il tracciato di vallate tracciate dal torrente
“Rio Seco”che, come dice il nome è ormai secco dai tempi che
furono ed è solo sabbia e sassi. Se però intendete provarci,
assicuratevi di farlo con una carovana di muli carichi di acqua e
cibo: non incontrerete che serpenti, scorpioni e lucertole velenose
giganti per almeno cinque giorni. Benvenuti nel Deserto di Chihuahua,
è proprio il caso di dirlo!
E dopo giorni di cammino, si giunge in
un misterioso luogo, ad almeno 100 km di deserto dal più vicino
centro abitato. In questo luogo che vedrete solo all’ultimo
istante, incassato tra le rupi come è, troverete una tripla
recinzione di rete sormontata da filo spinato. All’interno alcune
basse costruzioni ed un moderno palazzetto. Nessun cartello vi dirà
che questo è il “Centro de Detencion Maxima Pena” della
misteriosa e bellissima Madame Rocio.
Per arrivare al “Centro” esistono
solo due modi: dall’aria, con un comodo elicottero, utilizzato da
Madame Rocio e dalle sue amiche e collaboratrici, oppure a piedi,
come la perra ha scoperto, assieme ad altre tre compagne di sventura,
tra cui purtroppo anche la narratrice, condannata come complice della
perra, nonostante pianti, suppliche e l’intervento della Signora
della Pension Balnearia che mi discolpava.
E veniamo a noi. Una volta sbarcate
dalla nave mercantile che ci ha trasportato, veniamo prese in
consegna da un plotone di sorveglianti. Siamo seminude, la
sorveglianti ci portano in un magazzino dei doks, qui ci fanno
spogliare e ci rivestono con mutandoni di cotone ed una lurida
“tunica da viaggio” bianca, sporchissima. Centinaia di condannate
hanno indossato questi stracci per il viaggio verso il Centro. Lo
scopo della tunica, di un particolare tessuto di lana, è quello di
permetterci di sopravvivere durante l’allucinante marcia nel
deserto che ci attende. La tunica, infatti, comprende un cappuccio
che copre la faccia, lasciando solo una fessura per gli occhi.
Analogamente alle vesti delle popolazioni nomadi dei deserti, la
tunica protegge dal sole, impedendo al corpo di evaporare la poca
acqua concessaci. Per camminare abbiamo delle calzature di feltro,
che isolano i piedi dalla sabbia rovente. Di notte, poiché, al
contrario delle sorveglianti che hanno a disposizione una comoda
tenda, dobbiamo dormire, incatenate a terra, la tunica ci ripara dal
freddo intenso del deserto. Per nostra fortuna, il trasporto delle
enormi taniche di acqua e del cibo, tocca agli stoici muli,
altrimenti non saremmo mai giunte a destinazione.
Come vi ho accennato, oltre al continuo
camminare incatenate, per ore ed ore sotto al sole, il nostro incubo
divenne la sete, infatti l’acqua, abbondante per le sorveglianti,
era la minima necessaria per sopravvivere.
Tre giorni, dura il viaggio, camminando
dal sorgere del sole fino a notte. Le prime ore di viaggio, sono da
noi apprezzate, dopo la quasi immobilità sulla nave. Poi il caldo,
il sole e la monotonia del brullo paesaggio desertico, unite
all’effetto ipnotico di porre un piede avanti all’altro per
decine e decine di migliaia di volte, fanno sì che noi si cammini
come sotto ipnosi. La sofferenza più grande è la sete, visto che
l’acqua, di cui ci sono pur abbondanti scorte, ci viene concessa
solo a piccole dosi, sufficienti a non farci morire. Scoprirò poi
che nel “Centro” la sete è una delle costanti con cui le
detenute debbono fare quotidianamente i conti.
Ed alla fine del viaggio, arriviamo
barcollanti alle recinzioni di rete metallica ed ai reticolati che
delimitano il “Centro”. Evidentemente esiste qualche occulto
mezzo di sorveglianza, perché i cancelli si aprono automaticamente
al nostro avvicinarsi, per poi richiudersi, prima di aprire il
cancello successivo.
Giungiamo così di fronte alla
“Reception”. Crolliamo a terra, stanchissime. Ma qui le detenute
non debbono mai oziare, veniamo fatte rialzare ed entrare in una
stanza. Qui ognuna di noi viene assegnata ad una sorvegliante.
La sorvegliante e la nuova divisa
La sorvegliante a cui vengo assegnata
si chiama Maribel. Indossa una divisa di taglio militare, di foggia
quasi maschile, beige. Un distintivo sul braccio sinistro indica la
sua appartenenza al “Cuerpo de securidad” ed una targhetta sul
petto porta il suo nome, assieme ad una sigla che suppongo sia il
grado. Le scarpe sono dei lucidissimi “anfibi” marrone.
L’immancabile cinturone con pistola elettrica, di quelle in grado
di rendere inoffensivo un rinoceronte, ed un frustino, completano la
divisa.
Vengo fatta spogliare completamente, la
tunica ed i mutandoni verranno utilizzati per il viaggio di qualche
altra sventurata. La sorvegliante si mette dei guanti di lattice e mi
sottopone ad una sgradita ed approfondita perquisizione personale.
Niente viene lasciato al caso, le dita penetrano e sondano ogni mio
orifizio. Se mi fosse permesso vorrei proporre di controllare la
bocca per prima……non per ultima come, purtroppo accade.
E poi la sorvegliante Maribel mi indica
un grosso pacco posto a terra: il mio nuovo corredo da detenuta. Due
paia di mutandoni di spesso cotone grigio ed una divisa, di cotone
grezzo, a maniche lunghe, copre fino sotto alle ginocchia, a strisce
bianche e grigie. Un cappuccio si allaccia nascondendo completamente
il viso, deve coprire la testa e nascondere la faccia in varie
occasioni, tra le quali la mensa. In dotazione, ripiegati a parte
sono un pesante grembiule di tessuto plasticato, Dallo stesso tessuto
è ricavato un pesante cinturone, alto circa 20 centimetri, che
permette di stringere il grembiule, fissandolo con un apposito
lucchetto. In questo modo il grembiule, anziché essere una
protezione da indossare durante i lavori pesanti, può trasformarsi
in un fastidioso metodo di costrizione del ventre. Concesso alle
detenute un largo cappello di paglia da indossare lavorando al sole,
ma dovremo imparare come intrecciarcelo da sole.
Il pacco contiene anche la divisa di
punizione: una pesante tuta gommata, di colore nero, completata da
lunghi guanti neri. Per il momento mi viene fare indossare la divisa
a strisce, vi aggiornerò sulla divisa di punizione in seguito. Nella
parte alta del pacco una gavetta di alluminio con all’interno un
cucchiaio, una chiara eredità dell’”armada”.
Si è già fatta sera, sono a digiuno
dalla sera precedente. Non ho neanche potuto bere ed ho una sete
tremenda. Scoprirò presto che la sete è uno dei più efficaci
metodi per manipolare le detenute.
Finalmente la sorvegliante mi indica di
prendere gavetta e cucchiaio. E vengo fatta mettere in coda per il
pasto: un capace mestolo riempie la gavetta di un passato di fagioli
estremamente liquido. Guardo le altre detenute che, rialzato
leggermente il cappuccio iniziano a mangiare e poi mi metto anche io
a sorbire rumorosamente il brodo vegetale. Debbo dire ch è
abbondante. Scoprirò all’indomani che alle detenute vengono dati
due sole gavette di brodo vegetale e basta, niente pane, bevande od
altro. Insomma una dieta drastica e salutare
All’indomani avrei cominciato a
conoscere le altre detenute ed i rigorosi metodi di disciplina e
punizione adottati da Madame Rocio.
Vostra detenuta nadia.
(1- continua)
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